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Quattro uomini su un palco, tenuti per mano, statue di sale che fissano il vuoto (che poi molto vuoto non è), non lasciando trapelare emozioni, se non un leggero tremolio e qualche occhiata fugace ai lati della scena. Da destra a sinistra il pubblico, già in visibilio, ammira Frankie Poullain stretto in pantaloni neri di pelle e avvolto da un particolare camicione nero piuttosto vintage, Justin Hawkins con indosso un cappotto voluminoso e ricoperto di peli sulle maniche e le giunture, che poco lascia trapelare di ciò che vi è sotto, Dan Hawkins con l'immancabile maglietta dei Thin Lizzy per nulla nascosta da una giacca di pelle grigia, e Ed Graham in pantaloni e gilet di pelle nera. Sono da poco passate le 22.30. I Darkness sono pronti: un inchino veloce ma sentito e tutti ai propri posti. Inizia lo show.
Pensare che la serata non era iniziata nel migliore dei modi. L'attesa spasmodica era stata compensata dai Rhyme, band milanese che bazzica nei dintorni di un alternative metal piuttosto violento e carico di adrenalina. Tra cori gutturali e pogate l'esibizione del gruppo italico passa piuttosto in fretta. I pezzi presentati non hanno alcunché di originale, tuttavia si lasciano ascoltare senza angoscia, e riescono a far intravedere ottime potenzialità strumentali. Scoccano le dieci, i Rhyme si apprestano alla chiusura ed ai ringraziamenti di rito, con tanto di foto sul palco, per immortalare il pubblico alle spalle. La musica finisce e finalmente i tecnici cominciano a preparare lo stage per i quattro rocker inglesi.
Dopo una ventina di minuti si sentono fuoriuscire dagli altoparlanti le illustri note di The Boys Are Back In Town dei Thin Lizzy....cresce l'emozione: ormai ci siamo. Pochi attimi e la musica termina....si accendono le luci sul palco e... eccoli lì i quattro boys, nella scena sopra descritta. Tanto per scaldare l'atmosfera l'opener è assegnata al terzo singolo tratto da Hot Cakes, ovvero la cadenzata Every Inch Of You. Il locale, gremito, grazie anche alle dimensioni non eccessive, si incendia subito al grido in coro di un sentitissimo quanto volgare 'suck my cockkkkkkk'. Tre minuti di grandi emozioni, l'energia immagazzinata nell'attesa viene subito sprigionata verso i salti sul palco dell'elasticissimo Justin. Termina il primo brano e senza un attimo di respiro si diffonde il riff aggressivo di Black Shuck. Gli amanti del pogo si scatenano, Justin lascia da parte la chitarra e sfoggia ciò che il cappotto celava: una delle sue classiche tutine, nera come la pece e tuttavia glam più che mai! L'adrenalina sale ad ogni secondo che passa. Al terzo brano ormai il parterre è già conquistato: Growing On Me diviene un inno nostalgico ai primi anni del gruppo, e Justin sembra cantarla con particolare piacere. Volano plettri, verso il pubblico, che ricambia a sua volta con braccia tese a stringere la mano del frontman, o anche solo a toccare la chitarra dal quale si propagano assoli non sempre perfetti ma di grande impatto scenico! Tra le mani del più grande degli Hawkins arriva un golfino femminile: con molta nonchalance viene utilizzato per asciugare il sudore all'interno della tutina, ma meglio non scrivere dove precisamente....un'immagine non propriamente elegante, che innesca la prima di una lunga serie di urla del tipo “Justin, you are a fucking genius”!
Una piccola pausa, viene presentato Ed Graham al quale il buon singer dedica il brano successivo: She's Just a Girl, Eddie, ovviamente. La risposta del pubblico è ottima, e Hot Cakes si dimostra ben assimilato, anche se la tensione emotiva dei brani tratti da Permission To Land è di un livello decisamente più elevato. E il vituperato One Way Ticket To Hell... And Back!? Eccolo che arriva: doppietta di energia pura con la title-track e Is It Just Me, due grandi classici del gruppo, che ovviamente ottiene ovazioni e cori dagli spettatori, ora più partecipi che mai! È un seguirsi di acuti ed assoli, Justin corre da una parte all'altra dello stage, divertito e gasatissimo. Rimarranno gli unici brani estratti dal secondo album, ma non poteva esser fatta scelta migliore.
Si continua dunque con Nothing's Gonna Stop Us, il cui riscontro è invece leggermente più freddo rispetto alle attese, nonostante sia stato il singolo del ritorno della line-up originale. Ma è solo il preludio per un altro dei momenti più esilaranti della serata. Justin si libera della chitarra mentre Dan lancia il riffone di Get Your Hands Off My Woman, il primo singolo assoluto della band. E il fratellone si scatena. Tra gare di canto col pubblico, come il buon vecchio Freddie, ma con un'attitudine diversa, imparagonabile, e dimostrazioni di agilità con saltelli di ogni tipo, ecco che lo ritroviamo a testa in giù sulla pedana della batteria, davanti la grancassa, a tenere il tempo perfettamente...sbattendo i piedi come fossero braccia! E pensare che c'è chi tra il pubblico fatica a tenere il tempo battendo le mani...
Il clima è ormai incendiato e saturo di energia: il momento è propizio per una ballad. Love Is Only A Feeling scatena i cuori, infranti e non, dei fan appaiati sotto il palco, sui gradoni laterali e in fondo al locale. L'atmosfera diventa magica e onirica... quattro minuti di un'intensità indescrivibile. Il tutto concluso con Justin e Frankie che ai lati opposti del palco sfregano la chitarra e il basso sui microfoni, regalando momenti di assordanti suoni alieni. Terminato il momento sentimentale, e ancora con le lacrime agli occhi, l'uditorio si appresta a rimettersi a ballare al ritmo travolgente di Friday Night. Si scatenano le ugole, si sciolgono le tensioni emotive del brano precedente e si riprende il divertimento puro tra le gag spassose di Justin e gli sguardi ammiccanti degli altri membri. Comincia ad affiorare la stanchezza, ma a rianimare gli amanti del pogo arrivano le virulente note di Street Spirit, in cui il singer può dar sfogo alla sua acutissima voce, seguito stavolta da pochi urlatori coraggiosi. Ci si avvicina alla fine dello show, così la doppietta Givin' Up / Stuck In A Rut, serve più che altro a creare la giusta atmosfera al brano più atteso di ogni loro esibizione: I Believe In A Thing Called Love. Un divertitissimo Justin coinvolge un pubblico già di suo al massimo dell'eccitazione. Tra esilaranti urla 'touching youuuuuu, touching meeeeeeeee' ed un grido 'guitar' ad aprire il primo assolo, i quattro minuti dell'ultimo brano volano ad una velocità deprimente, mentre un Justin sempre più sudato e sorridente dispensa plettri, resi ancora più 'personali' dall'esser finiti nella sua bocca, o sul suo petto o la sua fronte. Tra applausi rumorosi e fischi rintronanti i quattro si allontanano dal palco.
L'attesa per vederli rientrare però è molto breve, e resa ancora più leggera dalle note che aprono il ritorno sullo stage. Parte infatti dal nulla un piccolo ma intensissimo tributo a sua maestà la Regina...o meglio, ai Queen, con un assaggio saporito di Crazy Little Thing Called Love cantato a squarciagola da tutto il locale, seguito dal un gustoso stralcio di Friends Will Be Friends. D'altronde da un uomo la cui mano sinistra presenta falangi tatuate coi volti di Freddie & Co. era impossibile non aspettarsi un piccolo omaggio. Aggiungerei anzi che la figura di Justin è in toto un piccolo grande omaggio alla maestosità del compianto Mercury.
È ora il momento dell'ultimo grande capitolo della serata. La tutina viene abbassata a livello vita ed ecco che parte il riffone di Love On The Rocks (With No Ice). Scorre veloce la prima metà, fino ad un interludio in cui Justin sfida ancora una volta il pubblico a star dietro ai suoi acutini e alle sue scale tanto spassose quanto ripide per voci poco dotate, interludio in cui vengono inseriti stralci di altri brani, tra cui l'immancabile We Will Rock You. E poi, a regalare l'ultima grande emozione della serata, ecco che l'ex balena britannica, trasportato da due vigorosi addetti, si fa un giretto semicircolare tra la folla, rischiando più volte di essere buttato giù dai fan impazziti di gioia. E poco importa che l'assolo suonato in quel momento risulta decisamente 'sporco'. Tornato sul palco rimane solo il tempo per i saluti finali e gli ultimi saltelli a ritmo di Love On The Rocks. Scrosciano gli applausi e le urla assordanti traducono l'immenso grazie che il migliaio di persone che hanno affollato l'Orion vorrebbero personalmente dedicare ai quattro ragazzi che si sono esibiti sul palco, e specialmente ad uno di loro.
È passata da poco la mezzanotte. Lo spettacolo è finito. Si spengono le luci, entra la vera oscurità... i ricordi cercano il loro posto in fondo al cuore: non moriranno mai.
Articolo del
05/11/2013 -
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