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Il pubblico milanese si prende il suo tempo, ma alla fine arriva. Non si riversa in massa come mi sarei aspettato e come sarebbe convenuto, forse complice il tour de force in clima di bagordi, iniziato per molti già dalla notte di Halloween. Senza contare i tanti altri eventi presenti in città di qui a poco, Queens Of The Stone Age il giorno dopo e gli Arctic Monkeys tra una decina di giorni. O magari molto più semplicemente perché (anche nella musica) l’Italia arriva sempre e comunque dopo gli altri paesi europei. Ad ogni modo la data di Miles Kane non è stata (almeno numericamente) considerata dal popolo dei “concertomani” l’evento “must” che mi aspettavo, ma sicuramente neppure un flop ed in molti, dopo i racconti dei presenti, rimpiangeranno di non esserci stati, rimediando la prossima volta. A scoppio ritardato, come sempre...
Andando a ritroso ripenso alla prima considerazione fatta alla fine di questo show, ovvero che è incredibile che quest’artista apra i concerti di Vaccines ed Arctic Monkeys (come accaduto a Roma) e personalmente credo che dovrebbe essere il contrario. Naturalmente certe gerarchie dipendono da ragioni legate alla fama ed alla notorietà, ma se dovessi scommetterci non avrei dubbi: Miles Kane ha i numeri del gigante ed in prospettiva continuando su questa strada li seppellirà (artisticamente) tutti.
Appena salito sul palco la prima definizione per il tipo di approccio alla performance è “argento vivo”, ma per quanto azzeccato “proverbialmente” parlando, l’argento è tuttavia anche il metallo dei secondi classificati, motivo per cui in questo caso dovremmo quindi parlare di oro. L’ex compagno di band di Alex Turner nei Last Shadow Puppets si esalta dalla prima all’ultima canzone, conquista il pubblico con un concerto di impatto sonoro travolgente e concreto. L’esecuzione dei brani è impeccabile e più “cattiva” della versione studio, il cantante e chitarrista di Birkenhead è poi galvanizzato ed incentivato da una risposta a dir poco entusiasta da parte degli spettatori che Kane, con maestria da veterano consumato, sa incanalare nella giusta direzione per rendere lo spettacolo epico sotto ogni aspetto. Un’audience mista su cui il sound del musicista inglese ha saputo far breccia grazie ad uno stile immediatamente riconoscibile, ma allo stesso tempo variegato, le cui influenze svariano all’interno di tutto il meglio che la produzione pop-rock inglese abbia offerto a cavallo tra gli anni 60 e 90. Che Miles Kane abbia i tratti peculiari del predestinato lo si può intuire anche dalle “benedizioni” ricevute da Paul Weller e Noel Gallagher, ma quando in mezzo al pubblico è comparso un cartello con su scritto “Welcome Back God Of Mods” il segnale è sembrato essere piuttosto chiaro, gli aficionados del Brit-rock hanno eletto il loro nuovo idolo.
Durante il set dell’ex leader dei Rascals non c’è pezzo che non sia accolto da un boato e sui ritornelli tutti cantano, saltano e si abbracciano, compresa la chicca Sympathy For The Devil dei Rolling Stones, di cui Kane esegue un estratto all’interno di Give Up. Il brano prima dei bis è quello che ormai a tutti gli effetti sta assumendo le fattezze di un vero e proprio inno, la title-track dell’ultimo album Don’t Forget Who You Are, che il pubblico continua a cantare incessantemente anche quando Miles Kane lascia il palco per una breve pausa fino al suo ritorno. Le ultime due canzoni sono The Colour Of The Trap (title-track del suo primo lavoro da solista) eseguita in solitaria con la chitarra acustica ed infine Come Closer, integrando alla sua band l’amico e collega Jeff Wootton, ex bassista dei Beady Eye, che in questa circostanza però imbraccia una chitarra.
Il finale è incendiario, distruttivo, con Miles Kane invasato come un punk che sferra un calcio all’asta del suo microfono durante la coda strumentale conclusiva, fomentato dal pubblico ormai già da tempo in delirio per lui. E’ la chiusura del cerchio, ogni cosa conduce alla determinazione ed alla convinzione nei propri mezzi, riflessa in tutto e per tutto nella maggior parte dei suoi testi, che rispecchiano l’ardente desiderio di quest’artista di andarsi a prendere un posto da dominatore nella scena rock inglese del futuro. Il responso è presto detto e lo si può riassumere con il titolo del pezzo d’apertura: You’re Gonna Get It.
Twitter: @MrNickMatt
Articolo del
07/11/2013 -
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