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Sapere che la prima data inglese di Billy Joel dopo sette anni è andata totalmente e irrimediabilmente sold out dopo soli 10 minuti è stato un trauma difficilmente assimilabile. La domanda sorge spontanea, perché all’Hammersmith Apollo? E non alla più grande O2 Arena, oppure alla storica Royal Albert Hall? La risposta mi sfugge, ma le ho veramente pensate tutte per riuscire a trovare una via legale – o non –per essere all’Apollo a sentire il “piano man”, ma la data era più che sold out, era piena zeppa! Niente nuovi biglietti disponibili, pochissimi accrediti stampa, poiché anche i posti destinati ai guests sono stati per lo più venduti, addirittura tutti i posti di solito destinati a portatori di handicap erano sold out (questo per dire quanto le abbia pensate tutte!)! Finché la soluzione più semplice ha fatto capolino tramite un annuncio online, ossia quella di unire il pratico al dilettevole, andare a lavorare all’Hammersmith Apollo.
Il piano ha in parte funzionato, dico in parte perché i primi quarantacinque minuti li ho sentiti dalla hall centrale mentre tiravo a lucido il mio bar a tempo di record, canticchiando nell’ordine My Life, Movin' Out (Anthony's Song), Everybody Loves You Now, Where's The Orchestra?, Allentown, Pressure, New York State Of Mind, She's Right On Time e una cover dei Beatles, When I'm Sixty-Four. Poi via la maglietta con l’ingombrante scritta “staff” sulla schiena per restare solo una delle tante persone letteralmente accorse per non perdere l’occasione di tornare indietro di qualche anno, di attraversare l’oceano e perdersi nell’atmosfera di quella New York che la musica di Joel dipinge a richiama in mille modi diversi e in tutte le sue sfumature.
Neppure a farlo apposta, ad accogliermi al mio ingresso “Slow down, you’re crazy child...” e la perfezione di una canzone come Vienna, un piccolo gioiello di poesia con un semplice accompagnamento al pianoforte che negli anni è diventata per me una specie di mantra. Il palco è un tripudio di musicisti e colori, chitarre, percussioni, fiati e ovviamente pianoforte. Sembra una festa, la sintonia è palpabile e Joel dietro è il padrone di casa che accoglie i suoi ospiti mettendoli a proprio agio con educata simpatia. I pezzi sfilano uno dietro l’altro, accompagnati dalle immagini proiettate su tre schermi posizionati dietro al palco: spezzoni di video, riprese dei singoli musicisti e affascinanti primi piani sulle mani di Joel che danzano velocemente tra tasti bianchi e neri.
Ecco Zanzibar, il romanticismo allo stato puro di She's Always A Woman e Don't Ask Me Why. Il pubblico, non esattamente giovincello, esplode letteralmente su Uptown Girl urlandone le parole a squarciagola, per poi perdersi in Blonde Over Blue e ritrovarsi assorbiti dalla storia di Brenda e Eddy in Scenes From An Italian Restaurant e infine travolti da una incalzante River Of Dreams.
Come gran finale ovviamente lei, tutti l’abbiamo aspettata col fiato sospeso, e mentre Joel prende platealmente fiato per intonare le prime note di armonica il tempo si ferma e la sala affollata e calda diventa un qualsiasi fumoso locale newyorkese degli anni Settanta. Piano Man è una firma, un punto fermo che dice inequivocabilmente che il concerto si sta avviando verso la fine. Joel si alza fa un inchino e accenna una corsetta dietro le quinte, per poi tornare subito imbracciando una chitarra elettrica per un bis tutto da "engineer boots, leather jackets and tight blue jeans" con We Didn't Start The Fire, It's Still Rock And Roll To Me, You May Be Right, Only The Good Die Young che ha letteralmente scaldato l’atmosfera rendendo il lavoro difficile per security e personale di sala che non è riuscita a contenere l’entusiasmo del pubblico ringiovanito di botto di per lo meno 20 anni (come del resto è successo allo stesso Joel sul palco!).
E poi... tutto finito, i musicisti escono ma Joel resta educatamente inchiodato al centro del palco da applausi scroscianti e strette di mano piene di ammirazione. La sensazione di aver visto per la prima volta dal vivo Billy Joel è strana, hai quasi l’impressione che se riesci ad avvicinarti abbastanza, lui di saluterà chiedendoti come va e cosa ne pensi della serata; non c’è distanza, non c’è un muro, c’è solo una divisione fittizia tra palco e platea, ma nulla più. Pensi quasi che potresti incontrarlo fuori a prendere una boccata d’aria. Tra la folla che lascia la sala, mentre io mi defilo fortunatamente dalla porta di servizio, ci sono sguardi sereni e sognanti, coppie che si abbracciano, melodie canticchiate a mezza voce, sembra quasi che in quelle due ore di musica sia accaduta una specie di magia, il cui effetto continua anche mentre il fiume di persone si riversa nella stazione della metropolitana.
Articolo del
08/11/2013 -
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