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Tutti pronti: la serata è di quelle che promettono scintille, Beth Hart, voce, anima e corpo californiano, di Los Angeles, in concerto a Roma. L’attacco è di quelli da infarto, tre brani tiratissimi che mettono subito le cose in chiaro, con un’energia, una carica, una voce pazzesche: Can’t Let Go, (cover di un brano inciso nel 1998 da Lucinda Williams, e scritto da Randy Weeks), eseguita con un grande intensità, chitarre in gran spolvero, batteria potente, atmosfera subito elettrica, e quella voce, quella voce lì, che sembra arrivare da un altro pianeta; Delicious Surprise, rock potente ma con tanta energia soul nell’anima e nelle corde vocali; Sinner’s Prayer, cover di un brano di Ray Charles, sensualmente blues, chitarre, drumming e voce, tutto dannatamente sexy (brano, questo, che apriva il primo disco firmato dalla cantante di Los Angeles insieme a Joe Bonamassa, Don’t Explain, del 2011, mentre l’apertura del concerto, Can’t Let Go, compare nel secondo album, dal titolo Seesaw, co-firmato sempre col popolare chitarrista blues, e pubblicato nel 2013).
Beth Hart si presenta così, insomma, alla prima data europea del suo tour, a Roma, alle 21.30 circa, sul palco dell’Atlantico Live, la sala concerti, ormai si può dire, più calda della capitale, visto il programma e gli artisti in cartellone. Si presenta fasciata in un tubino marroncino, leggero (ma non troppo visto il calore e l’energia che si sprigioneranno da quel palco) senza maniche, a mostrare così un tatuaggio di rose e spine sul braccio destro, tacchi alti, collant scuri, e scollatura generosa sotto un viso non spigoloso ma neanche da bambolona in vetrina, seducente e morbidamente aggressivo al contempo, illuminato da due occhi verdi smeraldo, mascella vagamente volitiva che non toglie però nulla al sex appeal di uno sguardo che ti scruta dentro gli occhi dal primo momento, appena mette piede sul palco, e subito carica invita a tenere il tempo battendo le mani
Non c’è traccia di volgarità o di facili ammiccamenti nella sua sensualità, che è tutta al servizio del talento assoluto di performer, e di una band che le viene subito appresso, senza esitazioni. “Ciao Roma”, un ringraziamento per essere intervenuti alle poche centinaia (un migliaio a occhio e croce) di persone che sta per essere travolto dalla sua energia, Beth Hart negli ultimi anni è diventata famosa presso il grande pubblico del blues per i due dischi realizzati come vocalist al fianco del già citato Joe Bonamassa, ormai autentica leggenda della chitarra mondiale. Ma se il chitarrista l’ha presentata alle grandi platee di appassionati, lei con la sua voce e la sua presenza scenica, ha fatto tutto il resto. Il pubblico di Roma, provato da un primo quarto d’ora davvero dirompente, prova a tirare il fiato durante Waterfalls, ballad midtime dal sapore decisamente più pop rispetto ai brani in avvio, ma è difficile rilassarsi quando sul palco c’è lei. La signora Hart è uno spettacolo per le orecchie e per gli occhi, visto che si agita, si contorce, si dimena, cerca il pubblico con gli occhi e con le mani, si divora il palco in lungo e in largo, incitando sempre all’applauso e alla partecipazione, cerca e trova costantemente il cuore della platea, con la naturalezza di una voce graffiante che non a caso all’inizio della sua carriera, a fine anni ’90 era stata messa al servizio di Love, Janis, un musical off-Broadway su Janis Joplin, nel quale recitava il ruolo della protagonista.
Quando si siede al pianoforte digitale, sistemato a bordo palco, e attacca Chocolate Jesus (cover di un brano di Tom Waits dall’album Mule Variations e pubblicato da Beth Hart nel recente Seesaw) si capisce che anche seduta alla tastiera non farà mancherà i suoi lampi di autentica energia e la sensazione permane anche nei brani successivi, che scivolano nel suo repertorio più pop, l’avvolgente Thru The Window Of My Mind, pubblicato nel suo ultimo disco Bang Bang Boom Boom, del 2012, e la successiva, sostenuta Good As It Gets. E’ nei pezzi meno tirati e più lenti, che la signora di Los Angeles, tocca un’altra corda importante, rivelando un talento e una comunicativa che grazie al prodigio della sua voce riescono ad esprimere e ad arrivare anche alle emozioni più intime, personali, quasi private.
Vibrante l’interpretazione di Better Man, manco a dirlo, soprattutto per l’interpretazione vocale sempre carica e densa, e dedicata ai “better guys” che “…incontriamo nelle nostre vite”; e bello e sentito il riferimento al suo compagno di vita, Scott Guetzkow, compagno e manager onnipresente sotto il palco, e dietro le quinte, pronto ad intervenire, e ad assistere la sua donna. Se Baddest Blues è una vera e propria immersione in un blues fumoso e languido, ambito nel quale la cantante (autrice del brano, in questo caso notevole anche nella scrittura oltre che nell’interpretazione) sembra davvero trovarsi a meraviglia, il set non cessa di scaldarsi con la sequenza Trouble (altro blues ad altissima tensione emotiva), Rhymes, e Sick (con grande solo del batterista Bill Ransom), con le quali la signora californiana, ormai padrona del palco e dei cuori del pubblico in sala, va a pescare tra blues, rock e soul, nuovi spunti per continue danze, fino a lasciarsi cadere, stremata anche lei, a terra, a godersi i soli dei suoi musicisti, ormai anche loro trascinati nel vortice: oltre al già citato Ransom, vero cuore pulsante della ciurma, i due chitarristi Jon Nichols e Pj Barth, bravissimi nell’intrecciare le loro due chitarre tra ritmiche, soli e riff di grande efficacia (per quanto un po’ penalizzati dall’acustica non impeccabile, e forse anche da un volume che soprattutto sugli assolo sembra valorizzarli troppo poco) e il bassista Bob Marinelli, forse il più scolastico e compassato sul palco, ma comunque preciso e necessario.
Va anche detto che nella qualità della scrittura dei suoi pezzi, Beth Hart, pur mantenendosi sempre su buoni livelli (che negli episodi meno sporchi di blues, e forse più radiofonici, si lasciano comunque ascoltare con piacevole leggerezza pop, come il suo hit L.A. Song, che la fece conoscere al pubblico anche televisivo per la sua messa in onda nel noto serial Beverly Hills 90210, brano comunque non eseguito nella data romana) non raggiunge gli stessi picchi dei suoi numeri da performer e da vocalist. Un animale da palco, insomma l’artista di Los Angeles, più che un’autrice destinata a lasciare il segno nel songbook americano del rock.
Il concerto scorre via con un crescendo costante e continuo, senza soluzioni di continuità e si arriva così all’ultimo brano prima dei bis: la signora si getta letteralmente verso il pubblico, salendo sulla transenna che delimita la platea ed eseguendo una versione letteralmente da brividi di I Love You More Than You'll Ever Know (brano tratto sempre dal disco Seesaw e cover dei Blood Sweet And Tears): appoggiata su un fortunato della prima fila (ma sempre sotto lo sguardo attento dell’amato Scott) la cantante losangelina, ormai fradicia di sudore, ipnotizza il pubblico rivolgendo, tutto intorno, uno sguardo impossibile, magnetico, ed interpretando il pezzo con un’intensità che ammutolisce la sala. Il pezzo termina in un’ovazione e chiuderebbe il concerto, ma dopo qualche minuto di attesa e richiamata a gran voce, la signora torna sulla scena per i bis, si sistema al piano, e si lascia andare in una dolcissima My California, per soli voce e piano, dedicata al marito che al termine del brano, attraversa il palco da una quinta laterale e le va a schioccare un bellissimo bacio sulle labbra: “io andrò all’inferno, e lui andrà in paradiso”, commenta una ancora non esausta Beth Hart, ringraziandolo.
Siamo alle battute finali, sempre seduta al piano, la protagonista della serata si rivolge per l’ennesima volta al pubblico chiedendo quale brano vogliano sentire e indicendo una vera e propria votazione (“let’s take a vote”) tra Hiding On The Waters e Leave The Light On, brano delicatamente intimo, teneramente notturno, pubblicato nell’omonimo disco del 2005, che alla fine vince la votazione per alzata di mano, e viene eseguita ancora con grande intensità.
Manca ancora qualcosa per completare la serata e mandare tutti a nanna, ed è quella Bang Bang Boom Boom, che ha dato il titolo all’ultimo disco a firma Beth Hart. Il brano coi suo incedere vagamente pop/western è forse il più radiofonico e sicuramente quello con la produzione e scrittura (oltre che un videoclip) più mainstream, da grande pubblico. Ancora una volta la straordinaria interpretazione vocale della signora californiana tiene banco, trasformando un’avvincente melodia pop con un bridge trascinante, in un brano aggressivo e potente. Col pubblico romano che intona all’unisono l’inciso "bang bang boom boom", Beth Hart saluta tutti, ringraziando ancora una volta di cuore. E noi non finiremo di ringraziare lei per tutta la sua emozionate e sensuale energia. Non ce n’è per nessuno: oggi è lei la numero uno. We love you, Beth.
SETLIST:
1 Can't Let Go 2 Delicious Surprise 3 Sinner's Prayer 4 Waterfalls 5 Chocolate Jesus 6 Good As It Gets 7 Thru The Window Of My Mind 8 Better Man 9 Baddest Blues 10 Trouble 11 Rhymes 12 Sick 13 I Love You More Than You'll Ever Know -------- 14 My California 15 Leave The Light On 16 Bang Bang Boom Boom
Articolo del
12/11/2013 -
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