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A mente fredda non credo di avere la certezza riguardo nulla di ciò che è successo la scorsa notte, ricordo solo che in teoria ero andato all’Init per vedere una band chiamata The (o Los, che dir si voglia) Growlers...
Sarò sincero, fino ad una ventina di giorni fa non sapevo neppure che esistesse questa band. Ad attirare la mia attenzione è stato il messaggio di Facebook di un amico che ho in comune con i DeWolff. Il procedimento automatico ed immediato è stato: se sei amico dei DeWolff sei anche amico mio e se ti piacciono i DeWolff allora hai anche ottimi gusti, quindi valeva la pena provare. Detto fatto, arrivo sul posto e riconosco solo un amico e collega con il quale non serviva darsi appuntamento… La fauna è composta da personaggi di svariate nature… sembra di essere dentro a Blow Up di Antonioni, sono quasi tutti stranieri e tra i pochi italiani molti, a giudicare dagli accenti, non sono neanche di Roma.
Appena si odono le prime note dei Tomorrow Tulips gli spettatori si spostano dal giardino a dentro la sala come i granelli di una clessidra appena rovesciata. Guardando il palco mi sembra di vedere due Kurt Cobain in versione anni 60, che nella fattispecie rispondono ai nomi di Alex Knost (chitarra) e Ford Archbold (basso). Alla batteria li accompagna Scott Montoya, che più tardi vedremo impegnato con i Growlers. Il sound dei Tomorrow Tulips è un rilassante garage rock senza eccessivi scossoni, la timbrica vocale di Alex Knost ricorda vagamente quella di Pete Doherty, insieme all’aurea di mistica tossicità che circonda sia lui che il suo compare sosia di Cobain. Alla lunga tendono a risultare un po’piatti, ma non si fanno voler male.
Quando iniziano a suonare i Growlers il numero di persone sembra essere raddoppiato, non credo si arrivi alle trecento unità, ma stando tutti larghi e comodi il colpo d’occhio è quello di un locale pressoché pieno o quasi. Non ci si ammassa, anche perché appena la band peggio vestita che abbia mai visto inizia suonare tutti iniziano a darsi alle danze. Voglio parlare della musica, dell’atmosfera e tutto, ma una menzione riguardante il look credo sia doverosa... Ad eccezione di Montoya alla batteria (che indossa un’onesta maglietta dell’Hard Rock Cafè con la stampa al contrario) già il cantante Brooks Nielsen con un cappello di lana stile pubblicità del Tonno Nostromo, non è che abbia l’aria di un fashion-guru, ma non è nulla in confronto al resto della sezione strumentale composta da Matt Taylor (chitarra solista), Anthony Braun Perry (basso) e Kyle Straka (tastiere e chitarra), che si presentano tutti con delle improponibili tute in acetato anni 80…! Si dice che i Growlers non siano nuovi ad outfit a dir poco spiazzanti e pare che in passato abbiano fatto anche di peggio, quindi nulla di così sconvolgente in realtà. Io credevo che mi sarei trovato davanti cinque hippie, ma ripensandoci, da un gruppo che ama definirsi “Beach-Goth”, potevo anche aspettarmelo! In qualche info raccolta qua e là ho letto che le sonorità della band dovrebbero essere un ibrido tra surf alla Beach Boys, ma con tinte e ombre di oscura psichedelia. In realtà Los Growlers mi ricordano molto il flower-punk dei Black Lips, ma in versione più tranquilla. Le mie recenti esperienze con band della nuova scena psych riguardavano tutte quel filone che percorre il sentiero tracciato dai Brian Jonestown Massacre, stasera il discorso è diverso, è tutto molto più alla buona, nulla di incredibile.
Ma quando la foschia del fumo del palco si unisce con quella proveniente dal pubblico e nell’aria iniziano a respirarsi certi odori “esotici”, l’atmosfera entra nel vivo e anche io smetto di chiedermi come potesse essere che non avessi mai sentito parlare di questa band, circondato da una folla festante e che canzone dopo canzone va sempre più fuori di testa. Riconosco qualche brano dal loro ultimo disco Hung At Heart, che avevo distrattamente ascoltato per non arrivare proprio impreparato. Ballano tutti, ondeggiano, c’è chi poga addirittura, una ragazza sale sul palco ed inizia a urlare.
Quando i cinque californiani finiscono il loro set lasciano il palco, ma non è di quelle uscite “finte”, per poi fare il rientro dopo tre minuti. No, avevano finito sul serio, ma la gente non ne vuole sapere, urlano tutti, cercano di imbastire un coro per farli riuscire ma non si sa in che lingua farlo, così ognuno urla ciò che vuole. Avevano finito davvero ed il tempo che i Growlers impiegano a tornare finalmente sul palco con un’espressione visibilmente stupita per tanta eccitazione mi fa pensare. E’ il primo “bis” vero che abbia mai visto in tanti anni di concerti. E non solo i bis, è tutto vero, “vero” nel senso di genuino, perché in verità è tutto surreale.
@MrNickMatt
Articolo del
16/11/2013 -
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