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Pronti…via! I Cani sembrano aver innestato il turbo in questo scorcio finale di 2013. Saranno pure detestati da molti, ma sono amati da molti di più, a giudicare dai sold out a ripetizione che stanno facendo registrare nel tour corrente a promozione del secondo album Glamour.
E’ già una serata mediamente meno fredda della media stagionale, ma all’interno del Circolo degli Artisti stasera la temperatura raggiunge livelli quasi africani, dato che siamo in tanti (forse in troppi) stipati in sala. Sono le 11 in punto quando Niccolò Contessa e i tre membri della band (un altro tastierista, un chitarrista e un batterista) fanno la loro comparsa – senza buste di pane in testa, ahimè - dopo la breve esibizione di supporto degli interessanti, emergenti Testaintasca. Sullo schermo dietro di loro campeggia la scritta “No Signal”, ma bastano le prime note del brano d’apertura per vivacizzare immediatamente la platea. Si sparano subito le due canzoni migliori dell’ultimo disco, I Cani, Come Vera Nabokov e Storia di un impiegato, e risulta subito evidente che non ci sarà partita: la serata sarà il trionfo che, in fondo, già da giorni, anzi da settimane, era stato annunciato. Già. Perché stasera al Circolo non ci sono avventori occasionali. Tutti – e dico tutti – sono venuti a vedere I Cani perché amano quei due dischetti e le canzoni ivi contenute. Si riconoscono nei testi, e hanno una sintonia con la poetica di Niccolò Contessa che, non temessi di esagerare oltremisura, mi azzarderei a definire quasi “morrisseyana” (la sintonia, non la poetica, eh!). Questa generazione – parlo dei ventenni, ma anche dei teenager e perfino dei preadolescenti - aveva assoluto bisogno di qualcuno che parlasse la loro stessa lingua, e con Niccolò sembrano averlo finalmente trovato. Ma non è neanche così semplice (o così facile): perché I Cani piacciono anche a me che pure l’università l’ho finita da tempo (e so bene, come recita il chorus di Come Vera Nabokov, che “non avere gli esami, e non avere vent’anni”, è qualcosa in più). Come mai? Per via di quei synth che oscillano tra frequenze alla OMD e distorsioni alla Daft Punk, immagino. Ma anche per il fatto che – come le stagioni, nevvero? - non esistono più i gap generazionali di una volta: conosco poche persone che non abbiano Whatsapp e da pischelli, in giro per Corso Trieste con la faccia da duro con problemi seri, ci siamo passati un po’ tutti. I Cani chitarrizzati del 2013 funzionano, dal vivo, anche (molto) di più e meglio della prima versione vista alla Casa del Jazz un paio d’anni fa. Niccolò & Co. sono dei veri musicisti, finalmente, senza più imbarazzi e tentennamenti (anche se no: non sono bravi come Thurston Moore). Tanto più che ogni pezzo è un hit, una bordata di gioia che investe la platea che conosce a memoria tutte le parole: Hipsteria, Corso Trieste, I Pariolini di diciott’anni (durante cui si leva qualche braccio teso in platea, forse ironicamente - o forse no...), Non c’è niente di twee e l’amatissima Le Coppie. Si rifiata per una decina di minuti con la meno conosciuta Asperger e i due pezzi a mio parere più deboli del repertorio, Il pranzo di Santo Stefano (brano un po’ anonimo del primo album che I Cani insistono anche stavolta a riproporre) e San Lorenzo da Glamour. Si ricomincia però a macinare electro-punk ad alto tasso di coinvolgimento con Post-Punk, FBYC (Sfortuna) e Storia di un artista, durante la quale sullo schermo alle loro spalle vengono proiettate le immagini di “Pasolini e Jay-Z”. E’ ormai mezzanotte ma dopo qualche minuto, richiestissimi, arrivano i bis: la Introduzione di Glamour, l'immancabile Velleità e una conclusiva Lexotan durante la quale Niccolò Contessa si getta tra il (suo) pubblico a fare crowdsurfing. “Tutto tranne che normale”, commenterà il giorno dopo sulla sua pagina Facebook.
Sulla base di stasera, I Cani sembrano a un passo dal fare il botto, quello vero, presso un pubblico definibile di tipo mainstream. Ce l’hanno a portata di mano: basterebbe, che so, un passaggio a Sanremo il prossimo febbraio e sarebbe cosa fatta. Musicalmente, invece, è un altro discorso. Glamour è meglio prodotto e realizzato con maggior cura (e furbizia) del “sorprendente esordio”, sia dal punto di vista dei suoni che dei testi. Ma l’impressione è che si tratti di un disco di transizione e che Contessa, tra un anno o giù di lì, si troverà di fronte a un viatico: virare verso Battiato o, piuttosto, verso gli 883? (Magari poi sceglierà di non scegliere, ma la staticità non è mai una buona soluzione per un artista). Staremo a vedere; per il momento godiamoceli così come sono, I Cani, nel loro pieno fulgore “hipster” di questo inizio degli anni ’10.
Articolo del
06/12/2013 -
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