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Il ritorno in concerto a Roma di Gianmaria Testa coincide con la pubblicazione di Men At Work, nuovo doppio album dal vivo che il musicista piemontese , nato a Cuneo 55 anni fa, ha registrato “on the road” insieme allo stesso gruppo con cui si presenta sul palco della Sala Petrassi questa sera. Un ensemble di valore assoluto che vede Daniele Santimone, alla chitarra elettrica, Nicola Negrini, al contrabbasso e al basso elettrico, e Philippe Garcia, alla batteria. Una line up eterogenea, in cui si parlano diversi linguaggi, ma unita da una collaborazione musicale in alcuni casi molto lunga e da una forte amicizia.
Non c’è una scaletta precisa per il concerto di questa sera, ma si comincia da Le traiettorie delle mongolfiere, il brano bellissimo che caratterizzò l’esordio di Gianmaria Testa nel lontano 1995. L’album passò quasi del tutto inosservato, tanto è vero che finì ben presto fuori catalogo. Vale la pena ricordare, tanto per sentirsi un po’ in colpa, che Gianmaria Testa inizialmente ebbe un maggiore successo in Francia - dove veniva considerato l’erede di Paolo Conte - che qui da noi. La serata procede a braccio con diversi brani tratti da Vitamia, l’ultimo album di inediti, scritto nel 2011. Molto belli gli arrangiamenti di Nuovo e di Dimestichezze d’amor, a metà strada fra canzone d’autore, jazz e rock elettrico. Splendide poi le note di chitarra sospese, cariche di inquietudine di Lasciami andare un brano autobiografico, scritto in memoria di un amico che non c’è più, e le liriche di Lele, che raccontano del suicidio di una donna meridionale che si era sposata per procura e si era trasferita al Nord per cambiare vita, senza però riuscire a sostenere le difficoltà della nuova situazione. Testa canta di una “morte che portasse via il dolore” in una atmosfera intima e così raccolta che riesce a far rivivere a tutti una storia vera, confinata anni fa ad un trafiletto su un giornale. Sì perché la canzone era stata scritta nel 1976, ma Gianmaria Testa l’aveva tenuta per sé, nascosta in un cassetto, fino a due anni fa.
Il concerto prosegue con un tono sempre elegante e misurato che però non nasconde la matrice popolare dell’artista, nato da una famiglia di agricoltori, e che sa bene cosa racconta quando canta Seminatori di grano, un brano che sa di rivoluzione e ricorda il Quarto Stato, famoso dipinto di Pellizza da Volpedo. Storie di migrazione e racconti d’amore si mescolano su 3/4, la delicata ballata acustica inserita su Da questa parte del mare e che viene ripresentata dal vivo in una versione più elettrica, ma non meno bella: “volevo tenere per te la più vera di tutte le rose/ volevo tenerla per te/ come tutte le cose” recita la poetica scarna ed essenziale ma quanto mai toccante di Gianmaria Testa, che come nessuno riesce a cantare il desiderio, il rimpianto, quell’“avrei voluto” che attraversa l’animo nel percorso di tante emozioni. Ecco, è proprio questo il suo compito, ed anche il suo indubbio merito di cantautore intimista che è riuscito a mettere una certa distanza dalle sue più profonde emozioni e ad universalizzare il suo linguaggio musicale e poetico per coinvolgere tutti.
La serata prevede anche momenti più duri, di chiara denuncia sociale, come nel caso di Cordiali saluti, ispirata dal testo di una lettera di licenziamento, o della nuova versione , decisamente rock, di Polvere di gesso, un vecchio brano che risale a Valzer di un giorno, un album del 2000. Gianmaria Testa scomoda la trilogia di Jules Verne su 20.000 leghe sotto i mari, una ballata che mescola humour nero e sarcasmo ipotizzando la vaporizzazione degli Oceani e la conseguente fine del mondo a causa di “insanabili contrasti” e di ”confini inviolabili” fra i diversi mari. In realtà si tratta di una forte critica all’operato di una sola Lega, quella che ha formato un partito politico in Italia e che predica ancora separazione, egoismo ed individualismo sotto il falso nome della voglia di indipendenza. L’esecuzione di Al mercato di Porta Palazzo, che prevede anche un picco contributo ai cori da parte del pubblico presente in sala, ricorda musicalmente per certi aspetti Don Raffaè di Fabrizio De Andrè, il celebre cantautore genovese che era stato in precedenza omaggiato da una bellissima versione di Hotel Supramonte eseguita da Gianmaria Testa in perfetta solitudine, senza il supporto della band. La scelta non è casuale: è sua intenzione infatti raccogliere l’eredità morale di Fabrizio De Andrè, conservare la stessa dignità, non chiudere mai gli occhi di fronte alla realtà, continuare a scrivere sì, ma mai soltanto per se stessi e soltanto quando si ha qualcosa da dire. Sono molti i riferimenti letterari che compaiono nelle canzoni di Gianmaria Testa, risultato della sua amicizia con lo scrittore francese Jean Claude Izzo, conosciuto quando viveva a Marsiglia, e della recente collaborazione con Erri De Luca.
Non poteva mancare, alla fine della serata, una dolce, malinconica versione de Gli amanti di Roma”, una ballata romantica, lieve ed intensa, ma sempre sottovoce che rappresenta bene la sfera interiore di questo autore che rifiuta i toni alti e la notorietà, che rimane un ferroviere in stato di “aspettativa non retribuita” e che si muove all’interno del mondo della canzone con molto garbo, gusto e delicatezza, e non si sottrae mai ad una sottile ironia.
Articolo del
16/12/2013 -
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