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Una serata di quelle da ricordare che ha visto come protagonista assoluto il pianoforte di Hauschka, nome d’arte dietro il quale si nascondono il talento e la genialità creativa di Volker Bertelmann, compositore tedesco di quarantasette anni, originario della cittadina di Femdorf, ma residente a Dusseldorf. Bertelmann suona il pianoforte dall’età di otto anni, quando accompagnava i riti liturgici della sua parrocchia di appartenenza. Lo ritroviamo questa sera a Roma. all’interno dello scenario indubbiamente suggestivo della Chiesa Evangelica Metodista di Via XX Settembre, intento a presentare prima di tutto se stesso, come vive e quale importanza la musica occupa nel corso della sua giornata. E poi Abandoned City, il suo nuovo album che uscirà a metà marzo per la City Slang.
Eccellente pianista con una formazione classica alle spalle, Bertelmann ha esplorato da adolescente prima i territori del rock e poi in un secondo momento l’universo della musica techno e dell’hip-hop. Nonostante fosse un ottimo studente di Economia, ha abbandonato l’Università per dedicarsi interamente alla composizione musicale e ha adottato il nome di Hauschka sia in onore del compositore boemo Vincenz Hauschka sia come suo personale e compiaciuto tributo ai prodotti per la pelle del Dr.Hauschka, che si trova dappertutto nella casa nei pressi di Dusseldorf dove vive con sua moglie e i loro tre bambini. Quando scrive Hauschka perde per intero la nozione dello scorrere del tempo. Si chiude in studio dopo colazione e rimane concentrato sulle sue composizioni per ore e ore. Soltanto la fame gli ricorda che forse è ora di cena e magari esce per “farsi una pizza”, come ci ha raccontato prima della sua esibizione. Il segreto dell’idea musicale di cui si è fatto portatore, risiede tutto in quel piano “preparato” che gli permette di esplorare tutte le risorse che gli offre il suo pianoforte e di ottenere una infinita gamma di suoni.
Nastri adesivi, elastici, corde, martelletti, pezzetti di legno, gomme da cancellare, fogli di alluminio e palline da ping-pong danno allo strumento delle nuove potenzialità percussive che - se trattate a dovere - estendono i confini espressivi delle sue creazioni musicali. Se aggiungiamo a tutto questo il ricorso ad una elettronica mai invadente, che conferisce atmosfere dense ed inquietanti alle sue composizioni, otteniamo come risultato finale un concerto per piano solo che diventa quello di un orchestra, con un diluvio di note che scuotono, colpiscono ed emozionano i tanti spettatori che sono presenti questa sera. E’ musica raffinata, dalla grande valenza ipnotica, che non ti lascia tranquillo, che evoca suggestioni infinite, che mescola alla matrice classica elementi di new-jazz e di musica ambient. Splendida, su tutto, l’esecuzione di Elizabeth Bay, un brano fantastico che ti permette di viaggiare con la mente, di tracciare scenari futuribili e immaginare città costruite per ospitare milioni di persone, improvvisamente vuote, abbandonate dagli esseri umani. Un senso di cupa desolazione, e di solitudine, pervade composizioni come queste in cui Hauschka - ben lontano dal dilettarsi con il suo piano in sofisticati divertissement - disegna le linee compositive di una sorta di nuovo romanticismo, che è epico, drammatico, corposo e forte.
Non mancano all’interno della scaletta prevista per questa serata delle composizioni tratte da Salon Des Amateurs, il disco pieno di ritmo realizzato nel 2011 in collaborazione con i Calexico, e passaggi da Foreign Landscapes, un album dai sapori decisamente ambient.
(La foto di Hauschka durante il concerto alla Chiesa Evangelica Metodista è di Giancarlo De Chirico)
Articolo del
01/02/2014 -
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