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Apre la serata il live set piuttosto originale ed intenso di Vera Di Lecce, ex vocalist dei Nidi d’Arac che presenta dal vivo i brani di Heavy Butterflies, il suo primo E.P. come solista e una cover di Bjork. Dalla pizzica all’elettronica minimale, il passo non deve essere stato facile, ma Vera lo ha affrontato con coraggio in una dimensione solista che la vede aggiungere loop discreti, niente affatto ingombranti, ad una sezione vocale particolare, che dosa con attenzione canto (in inglese), lamenti e sospiri. Un approccio folk molto moderno, asciutto ed essenziale, che rasenta la musica di avanguardia per una giovane artista di talento che ha già aperto i concerti di Kaki King e di Lisa Germano e che sembra avere ancora molto da raccontare.
Luci basse ed un attento e puntuale Sacha Tilotta, dei Three Second Kiss, alla batteria, accompagnano invece sul palco il ritorno a Roma di Shannon Wright, compositrice e cantante decisamente rock oriented, originaria di Jacksonville, Florida. Presenta dal vivo In Film Sound, il nuovo disco, ricco di atmosfere noise, album che segue il più riflessivo e maturo Secret Blood del 2010. Questa dicotomia è ormai un tratto distintivo della timida ed introversa cantante americana, con il volto interamente coperto dai capelli, quasi come se non volesse lasciar trapelare niente di sé, tanto meno sguardi ed emozioni. In effetti Shannon, almeno all’inizio, preferisce far parlare la sua chitarra, una Fender Telecaster, dalla quale scaturiscono sonorità aspre e distorte, accentuate poi da interpretazioni cariche di disillusione e di rabbia. Brani come The Caustic Light e Callous Sun contengono l’espressione della sua utopia insoddisfatta, della sua mai risolta inquietudine. L’accostamento con la figura di P.J.Harvey è inevitabile, anche se a tratti si colgono elementi tipici anche dello sperimentalismo di una Kim Gordon dei Sonic Youth.
A metà concerto Shannon passa al pianoforte e rivela per intero il suo secondo cuore, quello acustico, ricco di melodia e fatto di un lirismo gotico di impronta neoclassica. Smette di gridare forte e la sua voce diventa molto dolce e ancora più espressiva, in particolare quando esegue Who’s Sorry Now, la bellissima Bleed e l’oscura You’ll Be The Death. Lontana anni da luce da stereotipi e mode culturali, Shannon canta di solitudine, scelta e vissuta, mette in musica le nostre angosce. Da brividi nel finale l’esecuzione di Ways To Make You See, un brano tratto da un album del 2004, scritto e composto insieme al musicista francese Yann Tiersen, autore di colonne sonore. Quelle note di pianoforte e la sua voce così sofferta, ti impediscono di pensare ad altro.
Shannon lancia segnali che colgono nel profondo quanti sono lì ad ascoltarla, le sue ballate, di una tristezza desolante ma comunque bellissime, sono un segnale d’allarme per le nostre certezze. Sia alla chitarra che al piano Shannon ci regala musica struggente, che non conosce morbide falsità e compromissioni. Un repertorio di musica d’autore talmente suggestivo che è paragonabile in certe occasioni al teatro di Brecht, alla musica da camera, più che al folk o al rock d’autore.
Articolo del
17/02/2014 -
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