|
Nello stesso giorno in cui Paco De Lucia ha lasciato questo mondo infelice ci ritroviamo all’Atlantico Live per vedere una leggenda vivente del blues. Ore 20.30, al locale non c’è il pieno, è una giornata fredda e piovigginosa. Cerchiamo un buon posto a sedere ma non abbiamo neanche il tempo di mettere giù le nostre venerabili terga che il mito si palesa e un metro da noi. Cosa fare in questi casi? Niente, l’unica soluzione è rimanere paralizzati, ci sarebbero altre due opzioni, infarto o ictus, ma le consideriamo inaccettabili. John Mayall in jeans sdruciti, camicia a quadri sul viola (probabilmente la stessa che indossava nel 1973), si dirige verso il tavolino del merchandise. Vende CD, prende i soldi e dà il resto, firma biglietti e autografi, si lascia fotografare (ma guai a toccarlo direttamente) e sorride. Voto: 11/10.
Nel frattempo sul palco la band di supporto apre la serata. Sono in tre, italiani, di solito suonano in sette ma stasera la formazione è ridotta. Dopo un veloce saluto a Paco De Lucia partono per il loro blues piacevole. I due chitarristi di fine grana spaziano in assoli dandosi il cambio di testimone a ogni canzone. Il cantato non è eccelso ma il singer tiene bene il palco.
Dieci minuti alle 22.00 e il canuto signore, che poco prima sembrava uno dell’entourage addetto alla vendita, arriva alla tastiera seguito da Rocky Athas (chitarra), Greg Rzab (basso) e Jay Davenport (batteria). Una battuta veloce rivolta ai fotografi sotto il palco a cui chiede se hanno un permesso speciale per stare lì, qualche sorriso al pubblico e si inizia sulle note di I Know That You Love Me (But You Never Told Me So). Che dire? Quando il blues chiama non c’è niente che possa ostacolarlo. Al centro del palco John ha due tastiere allineate e una chitarra appoggiata alla batteria. Canta ancora bene e ha polmoni per suonare anche l’armonica che spesso fa da ponte per i successivi assoli di Rocky Athas, chitarrista dallo stile à la Gary Moore ma meno logorroico e dall’espressione simpatica. Il combo è oliato e procede spedito sull’intera scaletta che rasenta le due ore. Anche quando qualche piccola indecisione ritmica fa girare Mayall verso il batterista lo vediamo sorridere. Si continua sulle note di Nothing To Do With Love seguita dalla la sensuale e lasciva Help Me, altro classico del genere divenuto ormai un punto fermo ai suoi show. Subito dopo Heartache, estratta dal suo primo album solista, arrivano due snodi fondamentali: il primo è rappresentato da Gimme One More Day che segna i 25 anni passati dal momento in cui l’artista si è liberato definitivamente del demone dell’alcol; e la successiva So Many Roads, cavallo di battaglia di Otis Rush qui rinvigorito da lunghi assoli prodotti dalla sapienti dita di Ricky. Ma quello che stavolta John concede sono ben cinque pezzi alla chitarra elettrica, non lo si vedeva imbracciarla da un pezzo. Dirty Water insiste sui temi dell’alcolismo, nella jam California invece i quattro alzano un bel muro di suono dove spicca l’intervento al basso di Greg Rzab fino a quel momento abbastanza penalizzato dall’acustica e dal volume troppo basso del suo strumento. È passata più di un’ora e mezza, da come si muovono ci accorgiamo d’essere in dirittura d’arrivo. John presenta la band, saluta mentre esce ma tutti sanno che non può finire così.
Dopo la standing ovation urla e fischi insistenti richiamano all’attenzione, e sul palco, il simpatico nonnetto del blues. Room To Move parte sulle note dell’armonica per poi accelerare infiammando i presenti già in piedi in tributo al Mito.
Sezione “Pelo nell’uovo”. Gli si potrebbe muovere l’accusa che dei pezzi storici dei Bluesbreakers ha fatto pochissimo, ma siamo andati ad assistere al concerto di un mito vero? Bene, il mito ha deciso una scaletta che forse non aderisce perfettamente alle nostre aspettative, ma insomma non abbiamo più sedici anni o no?
SETLIST: I Know That You Love Me (But You Never Told Me So) (Freddy King) Nothing To Do With Love Help Me (Sonny Boy Williamson) Heartache Gimme One More Day So Many Roads (Otish Rush) Dirty Water California
Encore Room To Move
Articolo del
28/02/2014 -
©2002 - 2025 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|