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La prima istantanea è stata shockante. Entro nella sala concerti del Circolo degli Artisti e vedo i Super Dog Party, la band di apertura, che si danno da fare con il loro “sporco” (nel senso buono del termine) garage-rock di fronte sì e no ad una quindicina di persone... Paesaggio desolante che mi ha fatto porre qualche domanda. Innanzitutto, dove sono tutti? “Arriveranno” mi dicono. Ok. Anche perché il concerto era inizialmente stato programmato al Muzak, che effettivamente mi pareva troppo piccolo, sebbene i Warlocks non siano certo i Rolling Stones, però neppure degli illustri sconosciuti, anzi. Pensavo che l’avessero ragionevolmente spostato per l’eccessiva (per il Muzak) richiesta di biglietti, ma qui non c’è ancora nessuno e sono già le 22 e 30. Poi mi accorgo che il concerto in programma per la serata era un altro, allora mi chiedo se ci sia stato un annullamento e conseguente cambio di location a “metterci una toppa”. Chissà.
Fortunatamente quando da fuori sento le prime note di Red Camera capisco che la band capitanata da Bobby Hecksher ha iniziato a suonare e, come per miracolo, la sala ha pure iniziato a riempirsi. Gioca a loro favore pure il cambio di amplificatore di Earl V. Miller che, dopo aver eseguito Isolation e So Paranoid, fa passare quel giusto quantitativo di minuti tale da far arrivare anche i più ritardatari, mentre George Serrano (batteria), John Christian Rees (chitarra) e Christopher DiPino (basso) intrattengono i presenti con qualche fraseggio e accenni di jam.
Red Camera è stato l’unico brano del concerto tratto dall’album The Mirror Explodes (2009), la selezione effettuata per la scaletta è infatti andata principalmente a pescare tra Phoenix (2002), Heavy Deavy Skull Lover (2007) ed ovviamente l’ultima fatica Skull Worship (2013). Nell’arco dei primi tre brani la band californiana sfodera il repertorio stilistico, i cinque (purtroppo orfani della tastierista Laura Grigsby in questa circostanza) si alternano tra inclinazioni prettamente psych, ma anche ad escursioni più noise ed in alcuni momenti tendenti quasi al post-rock, seppur strizzando l’occhio pure al garage (ad un certo punto credevo stessero facendo la cover di Spread Your Love dei BRMC) e più di uno sguardo alla New Wave.
L’impatto visivo e sonoro dei Warlocks si fonda su una serie di eccessi, innanzitutto di fumo e di fuzz, ma la costruzione dei pezzi è tutt’altro che lasciata al caso o poggiata sul mero abuso dell’effettistica. La formazione conta tre chitarristi, che presi individualmente non fanno niente di così sconvolgente, ma che poi sommati ed impastati insieme ai giri di basso, partoriscono un muro di suono avvolgente e tempestoso. Gli spunti che emergono da brani come ad esempio la malinconica Dead Generation sembrerebbero essere di matrice più europea che non californiana, ma poi si alternano con pezzi molto più solari e movimentati come Shake The Dope Out, o la “gratefuldeadiana” (!) Hurricane Heart Attack, mostrando tutta la poliedricità di quest’ottima band, che sa anche come imbonirsi il pubblico (già conquistato in realtà) regalando birre a qualche fortunato tra le prime file prima di chiudere il concerto con i bis Come Save Us (dall’album Surgery, 2005) ed Endless Drops.
Twitter: @MrNickMatt
Articolo del
24/03/2014 -
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