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LIVE REPORT di F. Donadio
Ha ancora senso il Concertone del Primo Maggio? Se lo sono chiesto in molti, in special modo dopo aver dato una scorsa al cartellone di quest’anno, (per la prima volta) privo di grandi nomi (presumibilmente perché i soldi erano pochi e gli unici artisti che hanno aderito l’hanno fatto gratis o quasi, accontentandosi di un passaggio televisivo su una rete nazionale). Eppure c’è lo stesso tanta gente, attirata dalla gratuità e forse anche dal fatto che a Roma, il primo maggio, non è che ci sia molto altro da fare, e allora tanto vale ritrovarsi a Piazza San Giovanni, magari a tracannare una birra con gli amici o per attività meno sane e finanche illegali (46 persone arrestate per spaccio di sostanze stupefacenti e 5 per furto e scippo). Personalmente la giornata la passiamo nelle aree press e hospitality, dove come tradizione i sindacati mettono a disposizione della gioventù più ammanicata di Roma il consueto menù a base di fave e pecorino, e dove di tanto in tanto si ha la possibilità di intercettare taluno dei divi (??) del giorno, ma non certo di vedersi il concerto come Dio comanda: da quelle parti, infatti, la visuale è orrendamente laterale, e allora tanto vale volgere lo sguardo ai tanti televisori disseminati qua e là. Morale: chi è rimasto a casa se l’è “goduto” (per così dire...) sicuramente meglio dei cronisti “professionali”. Ma poi la verità è che alla gran maggioranza dei presenti “ospitati”, della musica non gliene può importare di meno; quel che più conta per loro è bere, mangiare, fare PR, e dedicarsi a infiniti, estenuanti “bla bla bla” di sorrentiniana memoria.
A noi, però, la musica interessa un po’ di più, e per il tempo che ci viene consentito la seguiamo sottopalco dalla fossa dei fotografi. Possiamo così inferire che - al netto dei soliti fiumi di retorica “lavoristica” e dei classici gruppi-alla-primo-maggio-e-solo-quello come i Modena City Ramblers – si salvano davvero in pochi. Stringi stringi, ne individuiamo due-tre: il romano Riccardo Sinigallia che dopo anni di tentativi andati a vuoto ha finalmente realizzato quello che è uno dei dischi italiani dell’anno, Per tutti, di cui esegue tre brani; e il rapper napoletano Clementino, grande showman naturale dal flow originale ed elettrizzante. Il futuro del rap italiano passerà certamente dalle sue parti. Convince poco invece il lanciatissimo Rocco Hunt, che aldilà del recente successo sanremese appare ancora acerbo e (forse) “costruito”; di gran lunga migliore, allora, il Piotta, che affronta il palco come un giaguaro disponendo peraltro di un repertorio già piuttosto vasto e conosciuto, tra cui la celeberrima La Grande Onda, tra i brani più apprezzati dal pubblico di Piazza San Giovanni. Pollice verso anche per Brunori Sas, cantautore di talento ma penalizzato da un ultimo (terzo) album sotto i suoi standard abituali. Resta passabile il suo Mambo Reazionario, ma il resto dà un’idea da fiera strapaesana. Penoso, poi, l’anziano frontman fiorentino che un tempo ormai lontano avrà forse inventato uno degli stili vocali “rock” italici più imitati, ma che oggi, trovandosi in una crisi creativa in apparenza irreversibile, si è messo a sparare un’invettiva alla “piove governo ladro” che fa il paio con la trovata, altrettanto ridicola, del cantante dei Management del Dolore Postoperatorio, che lo scorso anno – novello Jim Morrison in ritardo di 40 anni – era arrivato a esibire i genitali in diretta Tv. Insomma, il solito scandaluccio di contorno, altra vetusta tradizione del Concerto del Primo Maggio di cui proprio sembra non si possa fare a meno.
Resta nell’aria la domanda che, in piazza e a casa, si sono posti un po’ tutti: visto il risultato del 2014, si farà anche il prossimo anno il Concerto di Piazza San Giovanni? O magari avrà luogo in un’altra location e con una diversa formula? Qualsiasi cosa accadrà, l’impressione è che il primo maggio, su Rai 3 da Piazza San Giovanni sia andata in onda la fine di un’epoca. Impressione - peraltro - nettissima.
INTERVISTE di Maria Grazia Umbro
Riccardo Sinigallia
Al concerto del primo maggio incontriamo Riccardo Sinigallia, gli chiediamo come si pone di fronte a questo evento ed ai messaggi e ai valore che vuole esprimere.
Io mi sto ponendo con due parole che sono fiducia e speranza, due parole che per anni sono state un po’ snobbate, considerate senza significato, invece secondo me nei momenti di difficoltà come questo riemerge il significato più profondo di queste due parole, che viene a bussare per dirci cominciamo a costruire qualcosa insieme, guardiamoci, ricominciamo a guardarci negli occhi e proviamo a dividere il pane che significa dividere le risorse, quindi chi ne ha di più dovrebbe metterle a disposizione di chi ne ha di meno.
Dal punto di vista del tuo mestiere, del tuo lavoro di musicista, che purtroppo ad oggi non viene sempre riconosciuto come un vero lavoro, a che punto siamo e secondo te c’è speranza che questo lavoro venga riconosciuto?
Tutti noi abbiamo cominciato per motivi di divertimento, ma quando poi ad un certo punto diventa un’attività che ti prende completamente… E’ chiaro che ci stiamo perdendo tanti potenziali artisti in questo paese perché non ci sono delle leggi che ci tutelano. Io penso non solo agli artisti ma anche e soprattutto ai tecnici, ai fonici, alle persone che anche oggi hanno montato il palco, hanno cablato, hanno fatto i cosiddetti trasporti tra il palco e la regia, per la sala e per la messa in onda. Tutte persone che lavorano da anni. Penso ai circoli, alle associazioni, ai collettivi di persone che spesso vengono messi in una condizione di illegalità, abbiamo un esempio in questi giorni che è l’Angelo Mai, che invece andrebbero sostenute perché poi si parla di legalità ma è una legalità che fa sorridere se si pensa di quale legalità parliamo, spesso si confonde la legalità con la burocrazia, vengono messi in difficili condizioni per operare dal punto di vista culturale e se tutti questi presidi della cultura vengono sempre messi in precarietà e in difficoltà, per non parlare dei singoli, perché non voglio parlare solo degli artisti, ma di tutti quelli che si muovono intorno all’ambiente, cosa che ad esempio negli Stati Uniti quello dell’entertainment è l’indotto maggiore in assoluto. In Francia, in Germania, ci sono delle leggi che tutelano la musica del paese di appartenenza, solo in Italia continuiamo a passare la musica di qualunque stato pur di non passare la buona musica italiana e solo in Italia esiste questo sciacallaggio relativo ai numeri, alla fama e quant'altro. Quindi insomma la fiducia e la speranza che anche questo cominci più o meno a riequilibrarsi.
Parlando di te personalmente, quest’anno si è aperto abbastanza bene dopo San Remo nonostante l’esclusione, perché comunque si è parlato molto di te e la tua canzone è molto piaciuta, come anche quella che non aveva passato il primo turno….
…canzone che divido con Filippo Gatti, un grande amico a cui sono molto riconoscente. Ma io sono felicissimo perché la doppietta San Remo – Primo Maggio è una cosa per pochi quindi significa che qualcosa di buono è stato percepito, io sono molto contento e non vedo l’ora di andare a suonare nelle città italiane con la mia band, con Francesco Valente, Laura Arzilli, Andrea Pesce, Ivo parlati e mio fratello Daniele. Faremo un bel tour pieno di elettronica, acustica, parole, musica. Sono molto felice, è un momento felice, ho anche sistemato qualche buffo che avevo qua e là… e sto ricominciando, adesso si riparte con entusiasmo. Abbiamo già una quindicina di date verso l’estate, probabilmente aumenteranno in questi giorni, e poi da settembre faremo un tour nei piccoli teatri e nei club, e non vedo l’ora di cominciare.
Matteo Gabbianelli, voce dei KuTso
Come è stato esibirsi su un grande palco come quello del Primo Maggio? Devo dire che non ho avuto tempo di emozionarmi, quindi ho goduto della situazione che era molto bella, ho visto tanta gente, gente che cantava le canzoni poi, quindi molto figo. E’ stato bello, emozionante meno di quello che pensassi, ma molto bello.
Per voi che siete giovani emergenti, quale è il messaggio che deve partire da questo palco dal punto di vista del vostro lavoro di musicisti?
Il messaggio è appunto che facciamo la festa dei lavoratori e quindi anche dei musicisti!
Tommaso Piotta
Piotta, romano, Primo Maggio, San Giovanni è una piazza che conosci molto bene…
Sì per vari motivi, dalle multe al concerto…
Cosa si può dire al Primo Maggio che non sia banale e che non si stato già detto?
Che non sia stato già detto, trovare qualcosa oggi è sempre più difficile. Visto che la premessa era Tommaso Piotta Romano, forse la cosa meno banale perché non tutti sono di Roma, è venire qui per la terza volta dalla prospettiva opposta. Io per anni quando andavo a scuola, e ho cominciato a fare musica, stavo qui come pubblico, guardavo questi cantanti e dicevo “madonna mia, che figo stare la, chissà se ci starò mai io, chissà se ci riuscirò” e nel vedere una persona li dicevo questo ce l’ha fatta, questo è arrivato, riesce a vivere di una cosa che gli piace, di una propria passione facendone un lavoro nel giorno del lavoro. Quindi per la terza volta sono riuscito a provare questa emozione sapendo bene quella di chi invece è dall’altra parte avendola vissuta. Soltanto che non tutti riescono a fare un lavoro che gli piace, e non tutti riescono a fare nemmeno un lavoro, magari anche uno che non gli piace ma che gli serve per il sostentamento suo e dei suoi cari, quindi questa festa, più che una festa, secondo me deve usare la musica per raccontare le storie di questo paese oggi, fare una fotografia dell’Italia oggi sul tema del lavoro, però la fotografia è molto rovinata, è molto brutta, sta venendo male. Speriamo comunque con combattività e speranza di riportare la giusta luce a questa fotografia venuta male.
Tu nelle tue canzoni hai quasi sempre parlato di problematiche reali di tutti i giorni, soprattutto dei giovani, come si fa a ridare speranza e fiducia nel futuro?
Non so risponderti bene perché forse per fortuna o per carattere io la speranza non l’ho mai persa, o lei non ha mai abbandonato me. Però capisco che ci sono persone che la speranza non ce l’hanno più, l’hanno persa, e aldilà di dire le solite banalità, spero solo che possano sentire addosso il respiro della collettività che non resta indifferente al loro singolo problema, perché il loro singolo problema in realtà è un problema di tutti quanti. Tra l’altro il singolo sta diventando una moltitudine, sta diventando un’altra nazione, dove le differenze economiche sono sempre più agghiaccianti, una sorta di piramide dove pochi hanno tutto e molti hanno nulla. Una giornata come questa forse non ha la forza per cambiare la storia ma per raccontare queste storie e continuare a tenere alto il livello di attenzione e sperare che le cose vadano per il meglio cercando anche di non andare via dall’Italia anche se molti sono costretti, ma magari di rimanere qui anche a costo di sacrifici, però sempre in maniera pacifica, costruttiva, con quella sensibilità italiana mediterranea di empatia del sentire il problema altrui, a volte coi lacrimoni, ma magari contribuendo a migliorare le cose.
Alberto Bertoli
Alberto Bertoli, per la prima volta sul palco del Primo Maggio. Come questa emozione?
L’emozione è molto alta, soprattutto perché mio padre non c’è mai venuto. Io penso che se lo meritasse perché aveva una carriera che portava li, non è giusto che non ci sia mai stato e quindi ce lo porto io! Infatti presento una canzone di mio padre che si chiama Eppure soffia, e una canzone mia che si chiama Come un uomo che parla del terremoto e di quello che è successo il 29 maggio del 2012, purtroppo son successe diverse sfortune negli anni e quello che rimane è che la nostra gente risorge dalle ceneri e questo vuole dire la canzone, questo voglio dire a loro dato che ieri sono arrivate quattro trombe d’aria che hanno scoperchiato quattro fabbriche, ci sono diversi feriti ma la nostra gente non molla e io sono contento di cantarla.
Qual è il valore del Primo Maggio nel 2014, quale messaggio di speranza a chi il lavoro non ce l’ha o chi lo sta perdendo?
Il messaggio è proprio quello, che non è finita. E che il fatto di emigrare non è l’unica scelta. C’è la possibilità di reinventarsi, di inventarsi cose nuove e di trovare anche nuovi lavori, siamo qua per dire anche questo, che non c’è bisogno di fare gesti estremi. Il lavoro c’è, ovvio, non tutto il lavoro che c’è è il nostro sogno, però la vita non è una favola, e noi facciamo il nostro percorso. Non è importante il lavoro che facciamo ma come stiamo in mezzo alla gente, i nostri rapporti umani, il lavoro è solo una parte, però è molto importante e noi siamo qua per quello.
Tu invece hai pubblicato da poco il tuo primo disco quindi quali sono i progetti immediati dopo il primo maggio?
Be', subito andare in tour, abbiamo già una ventina di date in calendario quindi faremo una bella fatica quest’estate. Se pensi che non è stata una scelta “naturale” fare il cantante, mio padre neanche avrebbe voluto. Secondo me uno non se lo sceglie, a un certo punto ti rendi conto che sei un musicista e non ci puoi fare niente.
(La foto di Riccardo Sinigalla al Concertone è di Francesco Donadio)
Articolo del
06/05/2014 -
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