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Il Mojo Station Festival Blues è arrivato alla sua decima edizione, il programma prevede tre serate in due location diverse. La venue scelta per l’apertura è Locanda Atlantide, verso le 22.00 fuori dai cancelli ci sono un po’ di persone in attesa che i concerti abbiano inizio. In sottofondo scorre piacevole musica blues mentre i musicisti si scambiano qualche impressione sui festival in cui hanno suonato nei giorni precedenti. A dar fuoco alle polveri ci pensa il documentario From Memphis to New Orleans, i protagonisti sono Adriano Viterbini (B.S.B.E/Black Friday) e Roberto Luti (Tres) che forniranno la loro personale visione del blues improvvisando su un tema classico. Il primo dei bluesman a salire sul palco è Hola La Poyana!, chitarrista blues sardo, capace di osare smontando e riassemblando i classici stilemi ma sempre nel rispetto della tradizione. Si presenta da solo sul palco eseguendo, con perizia ma non freddezza, le take presenti in ”Tiny Collection of Songs About Problems Relating To The Opposite Sex” il suo disco appena uscito. Buona è stata l’impressione su disco, ottima quella live, il nostro esordiente conferma tutte le aspettative riposte. Fra un cambio palco e l’altro arriva Marco Pandolfi, chitarrista e armonicista presente all'European Blues Challenge di Riga con ”No Dog In This Hunt”, presentato lo scorso aprile. Il singer spazia nella storia di questo genere tanto amato e consunto dagli anni, che però si porta ancora bene, creando un’atmosfera intima con il pubblico che stasera non è corposo ma sicuramente rappresenta gli aficionados, lo zoccolo duro insomma. Quando spinge sull’armonica Pandolfi è davvero un portento creando un groove travolgente. Dopo 40 minuti è arrivato il momento di chiudere il cerchio con Frankie Chavez che arriva mezz’ora dopo la mezzanotte. Con il suo blues avvolgente fa ballare l’intera sala sfruttando una miscela blues dall’aroma classico. Le linee melodiche e la strumentazione vintage lasciano capire quali siano le sue radici, profondamente piantate nella tradizione del delta. Il pubblico gradisce, lui tiene il palco alla grande e nonostante una classicità a volte prevedibile ma mai furba porta a casa una vittoria.
Per la seconda sera si cambia location, è l’Init Club a ospitare i protagonisti previsti in cartellone. Angelo ‘Leadbelly’ Rossi è sul palco intorno alle 23.00. si presenta in duo con il drummer Ruggero Solli. Questo rappresentante maximo del blues italiano lancia una serie di take su emozionanti pentatoniche per cui il pubblico, oltre a tributargli una lunga serie di caldi applausi, balla e canta le sue canzoni. La voce è calda, lo stile personale risulta perfetto per interpretare i suoi, e i nostri, blues. Chiude questa seconda serata Cedric Burnside Project. Il suo cognome la dice lunga sulla sua appartenenza. Cedric è infatti il nipote di R.L. Burnside, storico bluesman famoso per vari album e collaborazioni illustri (”A Ass Pocket of Whiskey”, scritto e registrato con Jon Spencer Blues Explosion). Il nostro sale sul palco intorno alla mezzanotte e fra blues classici, inserzioni country, anthem del delta e incitamento di un pubblico già bello caldo e molto partecipativo, tira avanti per ben due ore. I presenti sorridono scambiandosi occhiate complici innaffiando le loro anime con calici di birra, proprio come in una grande festa fra amici. Come in un lento disgelo insomma, questo numero uno mondiale presenta ”Hear Me When I Say”, un lungo viaggio che parte dal North Mississippi per giungere fino a noi. Al suo fianco Trenton Ayers anch'egli figlio d'arte fa da tappeto ritmico lasciando libero il chitarrista di spaziare nel suo repertorio.
Terza e ultima sera all’Init, stasera altri fuoriclasse italiani internazionali rilasceranno pura energia blues che, a seconda della scale calanti o ascendenti, da un secolo modifica l’equilibrio del nostro umore. Aprono la serata i FENOMENALI There Will Be Blood, sono in tre e vengono dalla Lombardia. Suonano uno stoner “stomp blues” tribale, dall’energia devastante. Il loro disco è stato una delle rivelazioni di quest’anno, le aperture per nomi importanti, fra cui il nuovo astro nascente del blues Bombino (prodotto da Dan Auerbach), sono state il loro passepartout per la notorietà. Nonostante rompano una corda al primo pezzo e qualche cosa, nella sezione ritmica, s’inceppi al secondo brano vanni avanti come un locomotore trascinando il pubblico in una bolgia di suoni distorti ma danzerecci. Fra i vari brani infilano anche una cover del man in black Johnny Cash. Prima di scendere dal palco sono costretti dal pubblico a rimanere per un ultimo pezzo, sigillo di una performance incandescente. Poco dopo salgono i Dead Shrimp che ci avevano convinti con l’apertura per il fuoriclasse Jonathan Wilson. Sono anche loro in tre: voce, chitarra e batteria e dopo una partenza un po’ lenta crescono di spessore nella seconda parte. Svengono raggiunti sul palco, per una jam, da Reed Turchi a cui viene affidato il gran finale. Il chitarrista e cantante, ma anche produttore e titolare di una label importantissima negli States [Devil Down Records, licenziataria di Goldfoil di Adriano Viterbini), presenta ”Can't Bury Your Past”, uscito a fine aprile 2014 dalla storica IRD. Che Reed sia un eletto è fuor di dubbio, il suo stile pesca a piene mani dalla storia del blues, ma la sua forza è la capacità di azzeccare gli effetti alla chitarra garantendo continuità e fluidità. Lo show è impreziosito dai sapienti cambi ritmica delle pelli, perfetto supporto per i mutamenti della sei corde. Che il Mojo Station sia una delle realtà più concrete e interessanti della capitale è ormai un dato inconfutabile. La perizia degli organizzatori, la passione per questo genere, il numero nutrito di artisti e l’affluenza sempre maggiore ai concerti fungono da cartina al tornasole. Quest’ultima edizione è la riprova dell’ottimo stato di salute di cui gode una rassegna dal respiro internazionale.
Articolo del
02/06/2014 -
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