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Il ritorno a Roma di Tori Amos, pianista e songwriter americana diventata famosa nei primi anni Novanta grazie ad album come Little Earthquakes e Under The Pink, comporta un concerto molto diverso da quello di due anni fa, sempre qui all’Auditorium: niente più sezione d’archi, meno riferimenti alla musica colta e al folk della tradizione, ma un pop rock carico di energia e ricco di raffinati spunti melodici, caratterizzati dalla voce incredibile di Tori, capace di modulare tonalità differenti all’interno dello stesso brano.
In perfetta solitudine sul palco, stretta intorno ad una mantella di un verde sgargiante che crea forti macchie di colore accostata ai suoi capelli rossi, la Amos si alterna fra il suo pianoforte e una pianola elettrica, che nella seconda parte dello show viene sostituita da un organo vero e proprio. L’occasione sarebbe quella di presentare dal vivo brani da Unrepentant Geraldines, il suo ultimo album, ma in realtà il concerto abbraccia un repertorio ben più vasto, che recupera tutti i momenti più significativi della sua lunga carriera artistica. In pratica riconosciamo Weatherman e sul finale Invisible Boy come uniche composizioni nuove, il resto viene lasciato con tanta leggerezza e tanta classe ad una corsa a ritroso contro il tempo, che ci permette di riascoltare con gioia brani come Crucify, Precious Things e Cornflake Girl, canzoni che hanno segnato una intera generazione. Due giovani donne, proprio dietro di me, cantano a squarciagola i versi di quelle canzoni suscitando il disappunto di un energumeno seduto al mio fianco che voleva registrare il concerto tramite cellulare e si rendeva conto di quanto e come sarebbe stato alterato il suo “atto piratesco”.
Figlia di un pastore metodista e di una insegnante di origini cherokee, Myra Ellen Amos diventata poi Tori (un nickname mica male che in giapponese significa “uccello”) ha cominciato a suonare il pianoforte a soli cinque anni d’età e ha ereditato una impostazione classica, ben presto però contaminata dall’incontro con il rock and roll, che le ha cambiato la vita. La Amos infatti comincia a rivisitare al piano canzoni dei Led Zeppelin e dei Rolling Stones e mette su un carattere ribelle che bene si sposa con la sua creatività, con il rifiuto delle formule fisse degli stereotipi. Adesso superati da poco i 50 anni d’età, lungi da voler essere la signora Amos, Tori riparte da là, da quei virtuosismi pianistici in chiave rock, da quei suoi acuti strazianti che accompagnano esecuzioni epiche al pianoforte, strumento che talvolta è appena sfiorato, in altre occasioni invece viene selvaggiamente percosso. Seduta a gambe divaricate sul suo sgabello Tori non fa niente per nascondere la sua sensualità, non fa altro che ringraziare Roma e la sua gente per i due giorni di sole che le ha regalato e si offre al pubblico con rinnovato entusiasmo. Pur restando seduta si muove come una scheggia e passa freneticamente dalla pianola al piano e - in assenza di percussioni - sferra dei colpi violenti con le nocche della mano sulla tavola armonica del suo pianoforte per segnare dei passaggi ritmici.
Al solito, non mancano le cover version di brani che appartengono alla storia del rock: questa sera vengono rivisitate The Rose di Bette Midler e Boys In The Trees di Carly Simon.
Un concerto che ci ha permesso di ritrovare l’anima Rock di Tori Amos che negli ultimi anni si era lasciata intrigare da concept album di una natura complessa e forse troppo sofisticata. Questa sera è tornata finalmente se stessa, ha regalato le sue performance vocali ad un pubblico in estasi ed è stato davvero un gran bel sentire.
SETLIST:
Parasol Pancake Icicle Carbon Weatherman A Sort of Fairy tale Ribbons Undone Past the Mission The Rose Boys In The Trees Mr. Zebra Ophelia Blood Roses Crucify Precious Things
Encore: Cornflake Girl Father Lucifer Invisible Boy Tear In Your Hand
Articolo del
05/06/2014 -
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