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Di ritorno dal Primavera Sound il jet lag emozionale si fa sentire nel sapore della tazzina di caffè nero che bevo per resistere alla tentazioni di stendermi a letto e ricordare i dettagli di questi tre giorni incredibili in un sogno continuo che mi tenga con gli occhi chiusi fino ad un’ora imprecisata del giorno dopo. Nessuna /o quasi/ delusione dalla mia prima volta al Festival: non tanto un’occasione imperdibile per vedere i concerti delle proprie band preferite quanto la possibilità di una scoperta continua di scenari sonori accattivanti e la riscoperta di vecchi. Il tutto da giostrarsi bene altrimenti si rischia di perdere la bussola, e qualche concerto (come quello di Peter Hook And The Light esibirsi nella riproduzione di tutto Unknown Pleasures; non mi ricordo neanche perché, ma è successo, l’ho perso!).
Giornata I
Malgrado l’arrivo piovoso, verso le cinque del pomeriggio il sole torna a splendere sul Parc del Forum. La strada della Diagonal è piena di gente che cammina verso un’unica direzione, quella del Festival. La prima sensazione è quella di un incredibile chiarore. Si passano i controlli di routine, si ritirano pass e gli abbonamenti e tutto quello che ci lasciamo alle spalle scompare pietrificato in uno spazio temporale indefinito, come quello di una Sodoma e Gomorra al contrario. Da questo momento in poi possiamo iniziare a creare la storia sonora che ci accompagnerà per i restanti tre giorni, scegliendo tra un palco e l’altro, o perché no, non scegliendo affatto. Un po’ confusa dall’abbondanza del programma viro i miei passi verso i Real Estate, un incipit soft e senza pretese con gradevoli sfumature classical pop e acoustic rock che presentano per lo più i pezzi del nuovo lavoro Atlas.
Ancora sospesi nei suoni lievi della band del New Jersey mi avvicino stavolta con grandi attese al palco ATP, esattamente dalla parte opposta del parco. Dopo tre lustri anni da In The Aeroplane Over The Sea l’aspettativa per il collettivo della Louisiana è forte. I Neutral Milk Hotel iniziano con i pezzi più conosciuti del disco e tutta la folla intorno sembra conoscerne a memoria le parole. Il sound è inconfondibile: ’90’s folk sfumato di screziature country-pop per un amalgama convincente e un impatto onesto. Peccato però che dopo i primi cinque pezzi il gruppo perda capacità di coinvolgimento e brillantezza di suoni, tanto che tra il pubblico qualcuno comincia ad uscire dalla posizione guadagnata alla ricerca di altro. Già dalla prima giornata mi è chiaro che la fascia oraria pomeridiana del festival è la valigia stregata in cui sprofondare le dita per cercare i ninnoli più belli senza la smania di raggiungere i posti migliori dei grandi concerti serali. Decido così di raddrizzare il tiro per il giorno dopo alla ricerca di qualcosa di stuzzicante da portare a casa. Intanto comincia a farsi sera, il sole meno accecante, i vestiti più colorati, i palchi più rumorosi, le promesse più grandi. E veniamo all’evento cruciale di questo venerdì 29 maggio: Arcade Fire. La più grande band del momento oppure no? Mai pareri sullo stesso concerto furono così discordanti. C’è chi ha descritto l’esibizione ‘troppo scenica e non alla pari di altre viste in passato’ chi ha parlato addirittura di ‘perfezione totale’. I miei sentimenti si mischiano in una fascinazione arresa a canzoni che amo e ad una concentrazione totale in una performance che a tratti sembra teatrale. E forse la contraddizione sta proprio in questo: il passaggio da band folk-alternative di sottobosco ad una delle band più importanti della scena pop-rock a segnato un dislivello forse non ancora sanato. Ma non siamo più in una fase di passaggio, Reflektor sancisce il passaggio rituale all’elettronica, il salto da un pubblico sofisticato al mainstream, una scommessa che il perfezionismo del collettivo canadese sembra vincere a pieni voti, almeno per ora. Niente da stupirsi quindi che una Here Comes The Night Time sia più cantata di pezzi come No Cars Go o My Body Is A Cage. L’ultimo disco è piaciuto e forse ha coinvolto un pubblico diverso dal precedente e a questo punto, non forse, ma di sicuro, è questo il motivo per cui il piazzale davanti al palco Sony era totalmente pieno (e forse anche per la presenza recente sul palco di fronte dei Queens of the Stone Age, chissà…). In ogni caso a conti fatti poche band sono capaci di modellare la forma concerto in uno spettacolo dal senso particolare, con un inizio e una fine richiamate da un’eco di dinamismo emozionale capace di coinvolgere il pubblico in un’alchimia diretta con l’artista. La notte si potrebbe chiudere anche qui, con la bellezza haitiana delle scenografie carnevalesche degli Arcade Fire ma dopo pochi minuti sul palco di fronte i Disclosure catturano la nostra attenzione e ci tolgono ogni tentazione di tornare sulla strada di casa. I Lawrence Brothers rapiscono i piedi dei superstiti (parecchi a dire la verità) che iniziano a muoversi sui ritmi luccicanti del duo inglese techno-house. E si fa mattina…
Giornata II
La seconda giornata non potrebbe iniziare meglio con la scoperta dell’indefinibile formazione dei Yamantaka - Sonic Titan. Riferimenti visivi nipponici mescolati a sonorità psichedeliche, folk e industrial mi spingono a fermarmi ad un concerto non programmato ma che apprezzo sempre di più man mano che i pezzi snocciolano un’energia vorace ed esaustiva che mi spingerà a riascoltare questa formazione sorprendente, sia per suoni che per esibizione, appena tornata a Roma. Uzu l’ultimo album della band, è un piccolo trionfo noise con sfumature melodico-pop. Decisamente per me una delle rivelazioni più interessanti del festival. Appena termina il concerto della band di Montreal la pioggia ci sconvolge, un doppio arcobaleno ci rassicura, i Loop stuccano e i Twilight Sad convincono solo l’adolescente joydivisioniana che è in me. Fino a che non si fa strada nella mente ronzante l’ovvio dilemma: “Pixies o The War On Drugs?”. Diciamo solo che ho scelto i Pixies per privilegio di anzianità ma che a posteriori saprei cosa scegliere. Senza nulla togliere ai meriti della storica band di Black Francis forse ci si sarebbe aspettati qualcosa di più, meno show e più calore, che se non fosse per l’universalità musicale di pezzi come Wave Of Mutilation e Where Is My Mind, non è arrivata.
Dopo un’inevitabile sosta causa mal di piedi decidiamo di anticipare i tempi e prepararci al concerto dei The National. Non possono deludermi certo, ma forse stavolta, ancora colpita dalla spiritualità colorata degli Arcade Fire, non riesco a farmi coinvolgere come avevo pensato dalla bella voce calda di Matt Berninger. E’il secondo concerto in un anno che vedo della band e la trama sembra ripetersi: l’inizio è cauto, poi arriva l’esplosione, con i pezzi che via via aumentano di intensità (ancora una volta Bloodbuzz Ohio è uno dei pezzi performati meglio) e un frontman che perde la testa e inizia a camminare cantando rabbioso in mezzo al pubblico. Efficace, non c’è dubbio, ma forse alla lunga l’interesse per una scena che si ripete può diluire l’effetto ‘lupo mannaro’ in uno dei tanti cliché che appesantiscono il contenuto profondo del messaggio sonoro. Questo nulla toglie al fatto che I Need My Girl e Graceless siano pezzi di una purezza rara da trovare in un gruppo che si definisce rock e che sentire un concerto dei The National al Primavera Sound poco prima di andare a dormire può essere considerato un bel lusso…
‘Prima di andare dormire’…ecco un concetto che sfugge alla notte del Festival, perché ecco che immediatamente dopo le atmosfere vitree dei The National ci sveglia la dance ubriaca e scomposta dei !!! (CHK CHK CHK ), un’altra bella sorpresa, anche questa arrivata alle orecchie di soppiatto a scatenare i passi in una dancefloor invisibile. La matrice degli LCD Soundsystem si sente, ma le regole di base sono governate da spazi elettronici selvatici che virano dalla house al black-pop con accostamenti funk e post-rock. Per la band di Nick Offer la fase concerto è concepita come un continuo reinventarsi nello spazio di un’unica esibizione: un’occasione, per così dire, di cogliere tutte le meravigliose possibilità dell’autocontraddizione. Buonanotte, per oggi. E si sa, che il meglio deve ancora arrivare.
(FINE PRIMA PARTE. CONTINUA NELLA SECONDA PARTE DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE)
Articolo del
08/06/2014 -
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