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Sono passati 18 anni dall’ultima volta che stavo per assistere al primo concerto degli Stones. Milano, 1998, Jagger ebbe una faringite annullando l’unica data del tour. In Italia sono tornati altre volte, 2006-2007, ma qualcosa aveva impedito di incontrarci, ancora. La storia è ciclica e il conto in sospeso, durato quasi un ventennio, sta per concludersi oggi, 22 giugno 2014, Circo Massimo. Nello stesso giorno, a Trieste, suonano i Pearl Jam che abbiamo gentilmente saltato rispondendo alla chiamata della macchina Rock And Roll per antonomasia. Niente avrebbe potuto fermarci, neanche i mitici concerti di tre ore di Vedder & Co.
Alle 17.30 la storica location romana è gremita fino agli spalti: gente di tutte le età con addosso magliette di ogni tipo vaga per il terriccio, alcuni si stendono sul prato, altri prendono d’assalto i chioschi di birra e di conseguenza i bagni chimici.
Alle 20.00, in mezzo a un continuo andirivieni di persone impegnate a ingurgitare alcol per ingannare il tempo, arriva sul palco John Mayer. La band (basso, batteria, tastiere e coristi) sfoggia un rock onesto, il musicista americano pesca a piene mani dal suo repertorio offrendo una porzione di ciò che ha fatto, andando da sezioni acustiche fino al blues elettrico, irrobustito da siringhe rock. Ricorda molti nomi grossi del panorama americano, Dave Matthews Band su tutti. Al di là della voce, ciò che emerge è il suo talento chitarristico, prevedibile per alcuni versi, ma non per questo meno buono. La musica è un rock ammodo e per bene, sembra studiato apposta per il pubblico americano. Lui è impegnato fra continui cambi di chitarre, ammiccamenti al pubblico (femminile) e sorrisi. L’occhialetto da vista indie e la magliettina bianca fanno il resto.
Mezz’ora d’attesa, di colpo le luci si spengono, i rumori di fondo salgono d’intensità, ai Rolling Stones piace prendersi gioco degli astanti. L’intro infatti è palesemente impostata sulla sezione ritmica di Sympathy For The Devil. Il pubblico ci casca in pieno e inizia a cantarla ma in un attimo una virata magistrale dà il via a una partenza con il botto. Jagger e soci salgono sul palco sulle note di Jumpin’ Jack Flash, bastano una manciata di secondi e il Circo Massimo è travolto dal delirio, 70.000 presenti si svegliano dal torpore unendosi in un ruggito spaventoso. Ladies and Gentlemen, The Rolling Stones (are back in town). E se al primo colpo alcuni sono ancora in piedi, con l’arrivo dell’inaspettata Let’s Spend The Night Together i R.S. si confermano, per l’ennesima volta e senza che ce ne fosse bisogno, un band autorevole.
Sono tutto tranne che patetici, come vorrebbero certi benpensanti (leggi malelingue), appaiono sicuri durante l’esecuzione di questo classico generazionale, inno di notti infuocate passate a dar sfogo ai bassi istinti, nel modo più lascivo che si possa concepire. Sesso, droga e sì anche del sano Rock And Roll (But I Like It), terza canzone che va a chiudere questo trittico micidiale.
Troppo prevedibili, scontati, banali? Tutte cazzate, questi sono gli Stones oggi come lo erano cinquant’anni fa, fa parte del rock, è il ROCK. Prendere o lasciare, andandovene sapete benissimo dove. Tumbling Dice è l’asso che va a comporre questo poker servito.
A onor del vero da qui in poi il concerto soffre non poco per la scelta di una scaletta non proprio brillante: Streets Of Love, nonostante la presenza dello straordinario Mick Taylor, abbassa pesantemente la qualità di uno show partito in quarta. In corsa anche i quattro imperatori si piegano alla volontà dello showbiz. Altro passaggio dovuto, ma non necessario, è il singolo Doom And Gloom (da Grrrr!), non che sia sgradevole sia chiaro ma la sua trascurabile presenza toglie spazio a brani storici di maggiore impatto. Nonostante i molti voti online del pubblico siano andati su Sweet Virginia, la scelta ricade inspiegabilmente su Respectable, eseguita in duo con John Mayer. Gli Stones non sembrano pronti per questo brano punk-roll da montare sul solo asse-basso-chitarra-batteria. Mezz’ora di show (quasi) da dimenticare insomma.
Out Of Control, una delle migliori take di Bridges To Babylon, arriva dritta al cuore riportando il giusto equilibrio. Mick è in forma, corre e danza incitando il pubblico mentre si concede lo spazio per un assolo all’armonica, inseguita dalla chitarra di Keith che geme poche sensuali note. Jagger interagisce in italiano, prende in giro l’ossuta magrezza di Ronnie (senti chi parla) che non mangia abbastanza pasta e a metà show abbraccia Keith, gesto che da solo il prezzo del biglietto. Honky Tonk Women arriva calda e sensuale e l’assolo al piano, manco a dirlo, è affidato all’instancabile e ultra navigato Chuck Leavell. Ronnie Wood, l’eterno bullo combina-guai sembra rigare dritto, il suo rifferama supera le aspettative, fra la prima sigaretta e la ventesima si lancia in assoli pregni di pentatoniche, cambiando spesso chitarra e coprendo, insieme a Taylor, molte parti di Keith.
È in serata a differenza del suo antagonista storico, qui visibilmente in affanno, tranne che su You Got The Silver, sempre in duo con Wood. Richards non solo canta una Can't Be Seen da dimenticare ma sbaglia, ebbene sì, clamorosamente l’assolo di Sympathy For The Devil. Quando prova a rifarsi con un secondo assolo la band ha già inforcato la strofa di chiusura lasciandolo praticamente all’asciutto. Ok Keith, non è grave, ti vogliamo bene in ogni caso.
Sul palco però il vero gigante è Mick Taylor, i suoi interventi sono pochi ma tutti di un altro livello. Con il suo tocco doppia tutti senza sforzo, con buona pace delle due asce a sei corde. È definitiva la versione di Midnight Rambler, folgorante nella sua sezione centrale. Lo scontro titanico fra l’armonica di Mick e la Gibson di Taylor e i vari cambi ritmici, sapientemente suddivisi fra rallentamenti e ripartenze, funzionano con una sincronia che spacca il millesimo. Chi c’era sa di cosa stiamo parlando, si potrebbe eleggere a highlight assoluto della serata. Miss You arriva puntuale, e sì, sarà anche un pezzo degli Stones più tardi, ma la sua forza trascinante è indiscutibile. Quel riff scritto dall’armonicista Sugar Blue, saldamente ancorato alla brutale sensualità pelvica di Jagger, non lascia scampo. Gimme Shelter è un trionfo di mani tese verso il cielo; nonostante i suoi 45 anni questo brano conserva un magnetismo a cui è impossibile opporre resistenza. Dopo l’intro di Jagger, Lisa Fischer guadagna il centro del palco e con vocalizzi orgasmici stende i presenti. Sebbene la solita imperizia tecnica italiana tenti di rovinare tutto con il microfono wireless leggermente in ritardo, come fu per Roger Waters l’anno scorso all’Olimpico, la Fischer recupera alla grande duettando con Mick per poi ritrarsi nelle retrovie insieme a Keith.
Quello che viene dopo è solo storia, scritta dai vincitori e la band inglese di vittorie ne ha da vendere, Mick conosce così bene l’argomento che pronostica (paraculo) un bel 2-1 per l’Italia impegnata martedì con l’Uruguay. Sympathy For The Devil è stratosferica, luciferina nel suo andamento ipnotico, con quel coretto aggregante che cela qualcosa di sinistro, le percussioni tribali creano la giusta amalgama mentre ci sembra di scorgere la fluttuante figura di Satana che se la ride sornione. Brown Sugar viaggia sulla spinta di un Mick scatenato, mentre fa avanti e indietro sulla passerella il singer incita la folla, genuflessa di fronte alla superiorità schiacciante.
Sono passate le due ore, molti temono che sia già finita, ma gli Stones hanno voglia di regalare ancora qualche extra sistola. Introdotta dal Coro Giovanile italiano, arriva You Can’t Always Get What You Want Per il gran finale invece un boato pirotecnico di fuochi d’artificio, luci cangianti e riff incastonati nella leggenda sigillano questo live, impresso a fuoco nella carne e per sempre nella memoria dalle note di (I Can't Get No) Satisfaction.
Ah, un’ultima cosa, se da queste righe non fosse emerso chiaramente, ve lo scriviamo senza mezze misure: Mick Jagger è il più grande frontman della storia del Rock (And Roll). Anche quando sculetta, quando ammicca alla soglia dei 70 anni, quando vuole fare lo sciupafemmine. Gli crediamo un po’ meno quando canta (I) Miss You, di sicuro non collegata alla sfortunata vicenda della penultima compagna, morta sucida. Più verosimilmente Mick la dedica a tutte le donne della sua vita, inclusa la nuova fiamma, una ballerina con ben 43 anni in meno. Gli crediamo quando (le) canta "let’s spend the night together". Durante la sua vita, insieme agli altri, avrà preso di tutto Mick, e forse oggi, a maggior ragione, per (s.o.s)tenere i ritmi di una giovane ginnasta si aiuterà con la chimica, ma che importa? Ci piace crederlo, fa tanto Rock And Roll. Allo stesso modo ci piace pensare che stasera quando è uscito dal palco, lasciando da solo Keith per il suo momento di gloria, non sia andato solo a cambiarsi sorseggiando un tè ristoratorio. Segretamente ognuno di noi lo immagina davanti a qualche tavolo delle meraviglie, pieno di ogni leccornia (chimica) che soddisfi le sue voglie.
Questo concerto è stato qualcosa di più grande di tutti noi, un evento unico, di quelli inaspettati e incredibili che necessitano di un’esposizione maggiore, di più tempo per essere compresi a fondo. I Rolling Stones sono un sisma emozionale capace di far tremare le certezze della ragione e l’arroganza di tutta la critica che è rotolata, è proprio il caso di dirlo, lontano da loro, capitolando platealmente di fronte alla loro immortalità.
Highlight: Midnight Rambler Miglior Stone: Mick Jagger Miglior ex-Stone: Mick Taylor Durata: 2.10
SETLIST:
Jumpin' Jack Flash Let's Spend The Night Together It's Only Rock 'N' Roll (But I Like It) Tumbling Dice Streets Of Love (Con Mick Taylor) Doom & Gloom Respectable (Con John Mayer) Out Of Control Honky Tonk Women You Got The Silver (Con Keith on lead vocals) Can't Be Seen (Con Keith on lead vocals) Midnight Rambler (Con Mick Taylor) Miss You Gimme Shelter Start Me Up Sympathy For The Devil Brown Sugar
ENCORE You Can't Always Get What You Want (Con Coro Giovanile Italiano) Satisfaction (Con Mick Taylor)
Articolo del
24/06/2014 -
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