Dopo l’elevata partecipazione dello scorso anno , ci siamo lasciati con l’augurio di poter vedere la scommessa Unaltrofestival (manifestazione organizzata da Comcerto) crescere e concretizzarsi nell’ormai sempre più desertificato panorama italiano dei festival indipendenti. Detto, fatto. Un altro festival non solo torna nel 2014 ma “raddoppia” presentandosi in una formula del tutto innovativa che strizza fortemente l’occhio al modello dei festival europei con una doppia line-up a rotazione su due città. Confermata quindi la location milanese al Magnolia si aggiunge quella bolognese nel nuovo “Fiera District” (in collaborazione con il Covo Club). Una staffetta indie di due giorni che vedrà alternarsi sui palchi di entrambe le città artisti come MGMT, Dandy Warhols (tra i primi headliner ad esser stati annunciati) seguiti da Horrors, Panda bear, Temples, M+A, His Clacyness, Telegram, Foxhound e Kuroma.
Apertura prevista per le 19:00, sotto un cielo sempre più cupo e qualche isolato colpo di tuono che va a minacciare sensibilmente la buona riuscita della prima giornata di festival, mi dirigo verso il Magnolia dando un rapido sguardo alla line-up delle band presenti nella prima delle due giornate milanesi. L’apertura spetta ai Kuroma, band americana (Athens, Georgia) che nonostante la giovanissima età vanta già collaborazioni con MGMT, aperture al tour americano dei Primal Scream, un paio di album (Paris e Psychopomp) ben accolti dalla critica dalla critica ed un Ep attualmente in promozione intitolato Four Songs For Fifty States. Sincronizzati perfettamente con il ferreo timing del festival, alle 20:10 i Kuroma iniziano il loro concerto sullo stage principale del Magnolia davanti ad un drappello di cinquanta persone schierate sottopalco, noncuranti della pioggia scrosciante che ha accompagnato praticamente tutta l’esibizione. La band non si scoraggia, ringrazia i temerari presenti e rincara la dose tenendo molto bene lo stage con il pop psichedelico dalle derive punk rock di brani come Evan Mann, Big Bad Money, Running People e 20+Centuries. Nonostante la pioggia battente, il mood dei presenti è positivo ed i continui applausi tra un brano e l’altro ne sono la piacevole conferma.
Terminato il primo live, neanche il tempo di prendere una birra e subito si materializzano sul secondo palco gli M+A, il duo forlivese, vent’anni o poco più, che ha letteralmente stregato l’Inghilterra con un brillante sound pop/elettronico arricchito da contaminazioni italo-disco, bossanova, IDM e chill wave. Di ritorno dal Glastonbury Festival gli M+A presentano These Days secondo disco in studio, pubblicato per Monotrome Records. L’atmosfera si distende, la pioggia smette di scendere e lentamente lo spazio sotto il palco inizia a riempirsi. Un beat incalzante unito a potenti armonie sintetizzate inizia a coinvolgere sempre più i presenti. Loro, polistrumentisti funambolici sul palco, si cimentano abilmente tra drum machine, strumentali su laptop, percussioni, batterie, vocoder, sintetizzatori e tastiere, senza mai una sbavatura, senza mai un’incertezza con precisione ed abilità tecniche spiazzanti. La gente danza divertita per trenta minuti sulle note di When, Freetown Solo, Down The West Side, New York There, riuscendo quasi a percepire la leggerezza ed i colori di un’estate che stenta ancora ad arrivare. Un’esperienza unica e coinvolgente assolutamente all’altezza dell’interesse conquistato all’estero dalla band.
Sono quasi le 21:30 , le nuvole si diradano definitivamente ed il pubblico comincia ad affluire in modo più consistente distribuendosi principalmente tra l’area adibita alla ristorazione ed il Main Stage. E’ la volta degli His Clancyness, project band fondata dall’italo-canadese Jonathan Clancy (coinvolto già in progetti paralleli come Settlefish e A Classic Education). Il concerto sarà dedicato principalmente a Vicious sua ultima fatica, più qualche brano estratto da Always Mist. Sul palco, Clancy, accompagnato dagli amici musicisti di sempre, esegue brani come Miss Out These Days e Safe Around The Edges, ricchi di melodie pop sporcate da distorsioni kraut e continui riverberi psych in sessioni ritmiche costanti ed ipnotiche che, unite all’atmosfera crepuscolare di un sole che si prepara a tramontare lentamente, regalano un viaggio onirico suggestivo ed intenso che culminerà nella successiva performance con la sperimentazione elettronica di Noah Lennox alias Panda Bear. Poco prima delle 22:00 il musicista di Baltimora (fondatore di Animal Collective e Jane), si presenta sul Second Stage dell’evento assieme alla sua workstation per eseguire alcuni pezzi tratti dall’ultimo album Tomboy e da Person Pitch. L’aria si riempie di trame sonore che generano un universo di microsuoni. Il concetto di forma canzone viene esteso fino all’inverosimile attraverso un trionfo di loop ipnotici, parti vocali filtrate in strane miscele di psichedelia e lo-fi ed altri suoni indecifrabili,il tutto condito da immagini che esplodono in una moltitudine di colori e forme proiettate alle spalle di un immobile Lennox, concentrato e al limite della sperimentazione elettronica. Circa un’ora di esibizione di altissimo livello a tratti forse troppo pretenziosa, ricca di architetture armoniche complesse spesso difficili da digerire appieno, adatte sicuramente ad un ascolto più attento e concentrato mal sposandosi di conseguenza con la frenesia e la superficialità di un approccio più “da festival”.
In chiusura, il secondo headliner della giornata, gli MGMT. Ore 10:45 lo speaker annuncia la band americana che fa il suo ingresso accompagnata da proiezioni visive sparate al limite dell’attacco epilettico. Andrew Vanwyngarden, testa arruffata e bizzarro saio bianco che arriva fino alle caviglie, si avvicina al microfono, saluta i presenti e attacca con Introspection (pezzo composto nel 1968 da Faine Jade) dando il via ad un’ora e trenta di live composta da dodici brani in scaletta, la maggior parte dei quali estratti dai due album di maggior successo, Congratulations e Oracular Spectacular. Contrariamente a quanto ci si aspettava, dedicheranno solo lo spazio di altri due brani (Alien Days e Cool Song No.2) al recente ed omonimo album. Il concerto decolla letteralmente con Weekend Wars, Of Moons, Electric Feel, Time To Pretend, The Youth, Birds & Monsters, Mistery Disease. Andrew è a suo agio, introduce i brani, scherza con il pubblico, crea empatia. I pezzi vengono suonati con nuove chiavi esecutive, riarrangiamenti, estensioni, reinterpretazioni. Alcune più riuscite, come l’intervallo stile acid house di Kids con tanto di band che si scatena sul palco e pubblico in delirio; altre meno, come gli eccessivi ridondanti 13 minuti di Siberian Breaks che strappano qualche sbadiglio di troppo ai presenti. Eccessi a parte, i cinque sul palco dimostrano di esser cresciuti notevolmente e di aver acquisito col tempo abilità d’improvvisazione sempre più affinate e ricercate, figlie senza alcun dubbio dell’evidente nuovo cammino di ricerca e sperimentazione musicale intrapreso.
E’ da poco passata la mezzanotte e sulle note finali di Congratulations si va a concludere nel modo più dolce questa piacevole prima giornata di festival.
Articolo del
23/07/2014 -
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