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Mogwai, il ritorno al clangore cosmico che ha preceduto la nascita del pianeta Terra, Mogwai, il fascino di uno sperimentalismo mai fine a se stesso, Mogwai, la quiete apparente che nasconde un fremito primordiale, la tempesta psichica che abita la mente di ciascuno di noi. Il quintetto scozzese originario di Glasgow si conferma in un live act intenso e strabordante che prende le mosse dai vagiti della prima era psichedelica fino a coniugare il verbo di quello che comunemente chiamiamo post rock, ma che in realtà è un nuovo modo di confrontarsi con la musica delle nostre radici.
Sì perché all’interno di una performance come quella dei Mogwai di questa sera è evidente come il vitalismo ingenuo del Rock and Roll si confronti con altro, con l’industrializzazione, con il male di vivere, con la solitudine e l’ansia esistenziale. A tutto questo cercano di dare risposte in musica da quasi venti anni i Mogwai, che presentano dal vivo Rave Tapes, l’ultimo loro lavoro discografico, un album eccellente che dimostra come la band scozzese abbia ancora molto da dire.
La formazione del gruppo prevede Stuart Braithwaite, chitarra e voce, John Cummings, chitarra, Barry Burns, pianoforte, chitarra e sintetizzatore, Dominic Aitchison, al basso e Martin Bulloch, alla batteria. La scenografia e l’impianto luci sono ispirati alla grafica astrale della copertina del nuovo album e nel corso del concerto bagliori accecanti accompagneranno il crescendo sonoro - a tratti devastante - che è il marchio di fabbrica della band. Arpeggi morbidamente elettrici alla Durutti Column segnano l’inizio di esecuzioni complesse, raffinate ed ammalianti, che ti avvolgono in un substrato ipnotico, che ti cullano in una dimensione onirica fin quando l’equilibrio si spezza, e il fragore presenta il conto. Esplosioni di note che terrorizzano quanti fra i presenti non erano preparati all’evento, sonorità che rimandano ai primi Psychedelic Stooges di Iggy Pop, ai Sonic Youth o agli Swans, un rumore assordante che reca comunque tracce di armonie perdute, il ricordo di ciò che una volta era il suono, adesso confuso nell’elogio della dissonanza.
La performance è essenzialmente strumentale, le voci di Stuart Braithwaite e di John Cummings raramente interferiscono con le loro canzoni: i Mogwai preferiscono far raccontare ogni cosa alle loro chitarre, a quei feedback intrisi di elettronica che trovano sempre supporto in una sezione ritmica ora discreta ora dominante. La stagione psichedelica portata alle sue conseguenze più estreme, il suono di una umanità che procede lenta verso la dissoluzione, verso la fine, ma con grande dignità, senza mai rinunciare a quel che resta della poesia. Infatti sotto il clangore, dietro gli outburst musicali dei Mogwai c’è sempre qualcosa che è altro: un disegno melodico mai spento, una chiave profondamente romantica che assume contorni struggenti, tali da far venire i brividi a chi ascolta. No, non fatevi ingannare dal volume alto degli amplificatori Marshall: la musica dei Mogwai è la poetica del mondo industriale, è forse l’ultima frontiera contro il materialismo e la corruzione, è la ricerca di una purezza assoluta in un contesto contaminato, l’antidoto contro quei veleni che ci uccidono quotidianamente.
Le esplosioni finali di brani come Helicon e Batcat vanno lette in questa direzione , come una rivolta individuale, probabilmente inutile, senza speranza, che rilancia però una dimensione diversa dell’essere in una chiave artistica di avanguardia. Lunga vita ai Mogwai.
SETLIST:
Heard About You Last Night Friend Take Me Somewhere Nice Master Card Werewolf Xmas Steps Rano Pano Helicon 2 Deesh Remurdered Hunted Satan
Encore: Helicon 1 Batcat
Articolo del
27/07/2014 -
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