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L’Airport One di Centocelle è la nuova sede che ospita il festival Roma Vintage. In questa particolare occasione, dovuta all’annullamento del Totem Psych Fest per possibili precipitazioni, la location ospita due delle tre date (l’ultima prevede i Radio Moscow all’Init) che gli organizzatori sono riusciti a salvare dalla follia metereologica di questo 2014.
Sono gli svedesi Blues Pills a fare da opener per il vecchio Nik Turner in forze negli Hawkwind, pionieri della psichedelia inglese. I Blues Pills sono una classica formazione a quattro che sfrutta la potente voce femminile di Elin Larson sotto la quale emerge un sapiente tessuto hard rock blues, opera di Dorian Sorriaux. Il riccioluto chitarrista, il cui sguardo allampanato e capelli ricordano Ritchie Blackmore, è un vero portento della sei corde. In dieci minuti cita i Led Zeppelin, omaggia i Cream e e prende in prestito dai Fleetwood Mac frullando il tutto in Anthem rock vitaminici. Non avendo un chitarrista di supporto, il nostro si produce anche nella parte ritmica, infarcendola con veloci intagli solisti prima di scatenare la sua furia su tutta la tastiera.
Questo giovane combo di rocker blues è davvero coinvolgente, la presenza di Elin fornisce quella componente melodica, sebbene satanicamente blues nelle corde vocali, che fa da contrappeso alle sfuriate elettriche di Dorian. La sezione ritmica indiavolata, Zack Anderson al basso e Cory Berry alle pelli, mette le cose in chiaro sin dall’iniziale incipit di High Class Woman, apertura al fulmicotone di un set indiavolato. In ordine pescano dal nuovo album e dall’E.P., sparando a bruciapelo una turgida versione di Devil Man. Sono pericolosi e potenti come un power trio, con una nota delicata fornita da Elin che non guasta. Quando c’è da spingere sul pedale la sezione ritmica non si lascia pregare, partono a razzo lasciando il chitarrista libero di prodursi in cavalcavate a perdifiato in pieno stile Hendrix.
In tutto suonano quaranta minuti ma avremmo voluto sentire qualcosa in più tanta è l’energia e la voglia di fare di questi svedesi. Saranno derivativi, verranno anche dall’ormai logoro blues, ma non scimmiottano nessuno e hanno carattere, sfruttano la potenza attraverso un’approfondita conoscenza della materia pentatonica a dispetto della maggiore età (!!!) appena raggiunta dal chitarrista. Vengono da Örebro e sono il nuovo acquisto della lungimirante Nuclear Blast. Se l'E.P. Devil Man ci aveva fatto saltare dalla sedia e il nuovo album fa faville prospettando un futuro glorioso è dal vivo che band del genere ottengono la consacrazione definitiva. Hanno il giusto Groove abbellito da venature soul e da quel blues dolente che la Joplin aveva interpretato al meglio, il tutto è infilato dentro profonde cavalcate space con elementi psicotropi da vertigine. Svezia is the new Mississippi.
Ore 23.30, sul palco arriva Nik Turner con una band inattaccabile. Ha 74 anni, di cui più dei 2/3 passati insieme agli inseparabili amici sassofono e flauto totalmente immerso dentro la policromatica space (acid) rock band band che come moniker scelse Hawkwind. La linea fra il concerto mi(s)tico e l’accanimento terapeutico di personaggi tolti dalla formalina in questi casi è sottilissima. Nella prima ora bisogna dire che Nik non ci sembra proprio in forma, lo vediamo guardare insistentemente un foglio in mano ma ci rifiutiamo di credere che non si ricordi i testi e abbia bisogno di leggerli. In compenso la sua band spinge a dovere con un chitarrista dall’ottimo taglio blues, capace di produrre suoni potenti ma delicati con la sua Gibson Les Paul. Impegnano due ore belle piene, alternando riferimenti e ricordi legati a un passato immerso in un liquido psicotropo di tre lettere, sapete benissimo quali.
Non ci sono escamotage elettronici per riempire eventuali insicurezze legate all’età, è tutto pericolosamente esposto, in bella vista. Si gioca lealmente, ad armi pari sfruttando lo spirito punk, rantolante ma ancora vivo. Il tentativo di riecheggiare rudi, efficaci è affidato solo ai propri strumenti e all’esperienza, nessun trucco. Nessuna posa da star, tutto è dilatati, Turner si prende tutto il tempo per fare le sue cose. Nessuna ansia da prestazione, ogni attimo sembra infinito, a volte quasi stancante. Ripercorrendo a ritroso il suo passato, ma senza disdegnare il presente, Turner prende dall’ultimo Space Gypsy passando per Lord Of Light e Orgone Accumulator. Con il passare dei minuti le cose migliorano sensibilmente, quando arrivano Master Of The Universe e Brainstorm un’extrasistola mi colpisce dritta in mezzo allo sterno, per un attimo immaginiamo che al posto dell’attuale bassista ci sia il vecchio leone Lemmy.
La presenza di poche persone a concerti del genere, tenendo conto che nella stessa serata suonano i Mogwai alla Cavea, è sempre triste e denota una totale mancanza di rispetto per i personaggi storici di questo calibro e per le nuove leve. La tendenza sempre più antipatica di preferire concerti di qualità discutibile, preconfezionati, è il termometro di un abbassamento di qualità molto preoccupante. Non abbiamo dubbi che Turner avrebbe suonato anche di fronte a una sola persona, è la differenza fra i fuoriclasse e i mediocri. Non per niente un’ora buona dopo la mezzanotte è ancora lì, ancorato al suo sax, nel tentativo di rompere le righe con improvvisazioni che sono il perno della libertà del rock che dovrebbe scardinare ogni preconcetto. Comunque ci saremmo aspettati un pubblico numericamente superiore, come si dice in questi casi? Pochi ma buoni? Onestamente non è di gran conforto.
Open Mind, Ritual and Remember: Space is the Place.
SETLIST BLUE PILLS:
High Class woman Ain't No Change No Hope Left Dig In Devil Man Elements And Things (Tony Joe White) Gypsy Bliss Intro Black Smoke Little Sun
Encore: Time Is Now
Articolo del
29/07/2014 -
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