La seconda giornata di Unaltrofestival si apre all’insegna del bel tempo. Spazzato via ogni timore sulle condizioni meteo, si riparte mantenendo sempre lo stesso assetto del giorno precedente, due palchi cinque band. Questa volta spetta ai Foxhound aprire le danze. Dopo l’esordio al Primavera Sound Festival di Barcellona lo scorso anno, dopo l’opening set a Peter Hook e XX nella nona edizione del Traffic Festival di Torino, oltre ai numerosi concerti nelle principali venues di tutta Italia, i quattro giovanissimi ragazzi torinesi si affacciano dal Second Stage del Magnolia mettendo immediatamente in risalto talento e freschezza esecutiva proponendo brani estratti dai loro due dischi Concordia e In Primavera, pubblicati rispettivamente nel 2012 e 2014. Il loro è un indie rock misto a punk e folk con estremità dance pop e funk dal giusto tiro. Un genere in realtà molto complesso da definire ma che scalda ben bene il pubblico della prima ora strappando apprezzamenti e numerosi applausi. Una band da tenere sicuramente sott’occhio nel panorama indie nostrano.
Qualche minuto alle 20:00 ed arriva il turno degli anglo-scozzesi Telegram. Un quartetto che, stando a quando scrive il Guardian, si prepara a divenire uno dei gruppi cardine della nuova scena psichedelica inglese. I Telegram, capitanati da un energico Matt Saunders, si muovono con personalità sul palco stimolando e coinvolgendo continuamente i presenti. La band per ora ha all’attivo solo una manciata di singoli tra cui Under The Night Time e Follow (quest’ultimo, il singolo d’esordio, registrato a Londra dal produttore Dan Carey) che vengono sparati a tutto volume in un’ottima amalgama di psych e kraut-rock misto a shoegaze e proto-punk. Sonorità che catapultano immediatamente in atmosfere tipiche dei mid-60’s e 70’s rivisitate però in chiave moderna attraverso nuovi linguaggi digitali. Il risultato lascia tutti colpiti, annoverando anche questa band tra le piacevoli sorprese del festival.
Sempre rimanendo in tema di scena neo-psichedelica inglese, dopo i Telegram è la volta dei Temples, senza dubbio tra le band più attese. Basta guardarsi un attimo intorno per accorgersi dell’ingente quantità di curiosi presenti sotto palco, notevolmente superiori a quelli del precedente giorno a Bologna, stando alle parole di uno stupito James Edward Bagshaw, cantante e leader della band (incredibilmente somigliante a Marc Bolan). Il disco d’esordio Sun Structures su Heavenly Recordings ha destato molte discussioni e pareri contrastanti scatenando un’epica battaglia tra chi considera i Temples l’ennesimo rimpasto psichedelico (i paragoni con i Tame Impala si sprecano) e chi vede nei quattro di Kettering i nuovi interpreti di un genere non solo ripreso ma elaborato attraverso chiavi interpretative moderne. Tralasciato ogni dibattito da salotto resta una sola certezza, i Temples hanno un talento innato e Sun Structures è uno dei dischi più interessanti usciti dall’inizio del 2014. Armonie che si incollano addosso al primo ascolto, melodie dalle trame complesse ma allo stesso tempo orecchiabili ed attuali, incisi che si stampano in testa. Sonorità sature che rimandano inequivocabilmente alla psichedelia barrettiana, al pop dei Kinks, al rock di Small Faces e Who con derive immaginifiche in perfetto stile progressive. Dal vivo la band esegue alla perfezione brani tratti dall’album come Shelter Song Mesmerise Keep In The Dark A Question Isn't Answered e da un paio di E.P. tra cui Ankh. Viene generato un mix multicolore di riverberi, riff ipnotici e potenti aperture al limite della percezione uditiva che vanno a spettinare letteralmente i presenti. A concerto finito non viene lasciato più spazio ad alcun dubbio, i Temples si preparano a divenire una delle migliori band britanniche degli ultimi tempi e lo si intuisce facilmente, anche senza gli elogi di Jonny Marr e Noel Gallagher.
Qualche minuto alle dieci e si torna sotto il Main Stage per il gran finale, in attesa dei due headliner della serata, The Horrors e Dandy Warhols. I primi appaiono sul palco avvolti in una densa nube di fumo tra effetti visivi e continui giochi di luci e penombre che ne accentuano notevolmente la già forte presenza scenica. La sagoma esile ed androgina di Badwan si staglia al centro del palco dando il via ad un’ora di esibizione intensa, raffinata, sognante. Si inizia con lo shoegaze di Chasing Shadows, brano d’apertura del loro ultimo riuscitissimo lavoro discografico Luminous. Le continue contaminazioni electro-psych di Who Can Say o Endless Blue, il post-punk di Sea Within A Sea e Strange House, lo space-rock della melodica Still Life, vanno a creare un sound dalle linee delicate ed ipnotiche di rara ed eterea bellezza. Continui intrecci tra chitarre elettriche e synth risucchiano il pubblico in un oscuro vortice di noise rock, newwave e goth, un dissonante viaggio notturno e decadente di forte impatto sonoro, diretto ed innovativo, tra strutture armoniche ricercate ed innesti interessanti nei motivi. Brani che possono apparire variabili impazzite come le eclettiche So You Know e I See You vengono dominati con estrema padronanza tracciando un segno stilistico ormai facilmente riconducibile ad una indiscussa crescita artistica. Gli Horrors tengono bene il palco ammaliando i presenti e creando suggestioni degne della loro sensibilità compositiva. Il quintetto non delude le aspettative e regala un’esibizione all’altezza della sua piena fase di maturazione stilistico-musicale. Spetta quindi ai goliardici Dandy Warhols il compito di chiudere la due giorni di milanese di Un altro Festival. Le atmosfere crepuscolari ed introspettive degli Horrors lasciano il posto al più energico e spigliato rock suonato dai quattro di Portland. Con nove album all’attivo e vent’anni di carriera alle spalle, sembrano ormai lontani i tempi in cui i Dandy Warhols giocavano in un avvincente botta e risposta con i Brian Jonestown Massacre a suon di provocazioni in ricercato stile shoegaze e psichedelico. Alla band piace vincere facile e vengono riproposte, una dopo l’altra, in un’ora e venti di concerto, le principali hit che hanno contribuito al raggiungimento del successo mondiale, più qualche brano tratto da This Machine, ultima fatica risalente all’ormai lontano 2012. Un Courtney Taylor-Taylor in gran forma (come le sue buffe trecce alla piccola squaw) assume immediatamente il controllo del palco ed introduce con personalità e sicurezza Mohammed. Niente inutili chiacchiere solo tanto buon rock’n’roll. La carica sprigionata da brani come Godless, Be-in, We Used To Be Friends, Get-off è devastante. Pochi e semplici accordi, riff micidiali e cassa in 4/4 scatenano i presenti. L’atmosfera si fa subito incandescente ed il pubblico divertito balla ed accenna un timido pogo sulle note di Sad Vacation e Horse Pills. Un sound seducente, dall’hype freneticamente schizoide, aggiunge ulteriore spettacolo all’esibizione di questi quattro ormai veterani del mestiere. Ma il momento topico, inutile dirlo, arriva con We Used To Be Friends e Bohemian Like You, dove anche il più restio dei presenti cede all’effetto “saltello adolescenziale” perdendo miseramente anche l’ultimo stralcio di dignità rimasto in suo possesso. Semplicemente travolgente. Un finale da ciliegina sulla torta. Il concerto termina e con esso il festival. Anche se numericamente non ha regalato le stesse presenze del precedente anno, complice sicuramente la scelta della doppia venue, Unaltrofestival supera brillantemente ogni aspettativa presentando una manifestazione organizzata alla perfezione con nomi di qualità sia tra le nuove promesse che tra le band più affermate. Abbandonato quindi il suo stato embrionale, Unaltrofestival si trasforma di diritto nella nuova cenerentola dei festival indipendenti italiani. L’augurio è di poterlo ritrovare, nella prossima edizione, in una veste ancora più ricca e piena di novità accattivanti.
Articolo del
30/07/2014 -
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