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Il maltempo, e una tariffa da querela per usufruire del “parcheggio” dell’Orion, non hanno scoraggiato i numerosi fan dall’assistere all’esibizione del bel tenebroso Mark Lanegan, ritornato a Roma stavolta per promuovere il suo ultimo album 'Phantom Radio'.
Lasciata la macchina in uno spiazzo disastrato, pieno di pozze (uno spettacolo innegabilmente fantozziano), entriamo nel locale, che non si direbbe proprio gremito; sul palco, ad aprire il concerto, Duke Garwood e il suo blues austero e fascinoso si sposano alla perfezione con (alcune del)le sonorità che hanno segnato la carriera di Lanegan. Lanegan inizia in punta di piedi, accompagnato solo dal chitarrista: When Your Number Isn’t Up, da 'Bubblegum', incanta subito i presenti, ma la magia si spezza dopo qualche brano. Prigioniero di uno stile un tempo assai apprezzabile, che ci sembra ormai diventato maniera, il frontman propone di fatto due tipi di canzoni: le ballate che guardano al passato, in cui spesso eccelle, e i pezzi mid-tempo à la Methamphetamine Blues — vogliamo dirlo che ricorda Wake Up Time For Freedom dei Cult, da 'Sonic Temple' (1989), o è lesa maestà? — o Death Trip To Tulsa, che, onestamente, sono un po’ anonimi.
Intendiamoci, la capacità di stregare non è solo un ricordo: ogni tanto, qualche eco degli Screaming Trees mette ancora i brividi (Sleep With Me), e le radici folk, anche se ammorbidite come nell’interpretazione di One Way Street, fanno sempre la loro figura. Tuttavia, alla terza volta che lo vediamo dal vivo, rimane l’impressione di trovarsi di fronte a un artista fuori dal comune che, sebbene incapace di veri e propri scivoloni, gira a vuoto. Stasera la monolicità della performance è stemperata dalla verve e dal funambolismo controllato del bravissimo chitarrista (Jeff Fielder), ma avremmo preferito qualche nota in meno e magari una parentesi acustica a vivacizzare il set.
Se è fuori luogo rimpiangere le acide vibrazioni psichedeliche della sei corde di Gary Lee Conner che arricchivano i brani cantati da Lanegan, sarebbe stato bello rivivere, almeno in parte, le atmosfere dei suoi primi dischi solisti. 'The Winding Sheet', 'Whiskey For The Holy Ghost', 'Scraps At Midnight', 'I’ll Take Care Of You': un po’ meno muro del suono e un po’ più di anima...
SETLIST:
When Your Number Isn't Up Judgement Time The Gravedigger's Song Harvest Home Quiver Syndrome One Way Street Gray Goes Black Deepest Shade Hit the City Ode to Sad Disco Riot in My House Harborview Hospital Floor of the Ocean Torn Red Heart Black Rose Way Sleep With Me Death Trip to Tulsa
Encore: Methamphetamine Blues I Am the Wolf The Killing Season
Articolo del
06/03/2015 -
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