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A due anni dall’ultima discesa capitolina (Orion) Snah e soci tornano in Italia per tre date fra cui una all’Init Club. Dopo l’uscita del micidiale ”Here Be Monsters”, uno dei dischi più belli del 2016, la band norvegese torna con un set la cui durata varia dalle 2.30 alle 2.45 h. Ce n’è davvero per tutti i gusti, si va dal nuovo materiale fino a inaspettate discese nel luciferino periodo di “Demon Box”. Il locale è pieno come un uovo, fa un caldo mostruoso e la birra a metà concerto è già finita. Niente di tutto questo impedirà ai presenti di scollare gli occhi dal palco. La band è in una forma stellare, c’era d’aspettarselo, i norvegesi non hanno mai deluso le aspettative. Che suonino di fronte a 100 persone o 500 poco cambia. Sono le 21.30 quando salgono sul palco attaccando con Big Black Dog, è subito un tripudio di applausi, urla e fischi di consenso. La potenza del suono è travolgente, l’impatto micidiale e l’approccio tradisce una fame ancora presente in questi arzilli quarantenni capaci di creare un fantastico inferno sonoro mutuato dai seventies e reso ancora credibile dall’approccio muscolare e da un modo del tutto personale di riscrivere la storia del rock. Il secondo colpo arriva da una fusione fra Sleepwalking Again e Lacuna Sunrise, ma è con l’arrivo del giro di basso di un’inaspettata Flick Of The Wrist (“Starmelt/Lovelight” Ep) che il gioco si fa duro davvero. Snah, limpido e sciolto come mai prima, inanella due assoli sulla dodici corde prima e sulla sei poi per un totale di dodici minuti di pura poesia. Il trittico Running With Scissors – I.M.S. – Spin Spin Spin portano via la prima ora attraverso un attacco confluente al centro del sistema nervoso, messo a fuoco e fiamme da August e dalla tronitruante S.T.G., punto di snodo fisso dei live set sin dall’uscita di “Blissard”. A stemperare la tensione arriva Feel cantata all’unisono da tutti i presenti con grande soddisfazione di Snah e visibile emozione di Bent che ringrazia battendosi il pugno sul petto. The Bomb-Proof Roll And Beyond (For Arne Hassle) riporta riff plumbei e sezione ritmica schiacciasassi nelle sapienti dita di Kenneth, batterista al pari di un essere mitologico nato dalla fusione fra piovra e tarantola. La sua spinta propulsiva emerge prepotente in Hell Part I – III, suite monolitica seguita da Wearing Your Smell e Watersound, prelevate direttamente dal mai troppo elogiato “Timothy’s Monster”. Queste due perle acustiche, con tanto di mellotron, arrivano come il più agognato dei doni preannunciando l’inizio della sezione finale che pesca così in fondo nel loro passato da tirar fuori Junior e Feedtime. In sala si scatena il panico con pogo feroce, da fondo sala un ragazzo rapito da una sorta d'irresistibile follia ancestrale vola letteralmente fra i presenti creando un varco, manco fosse Mosè, che lo catapulta direttamente al front-row. È l’apoteosi, avevano già vinto prima di salire sul palco ma dopo la reazione del pubblico a questo tandem anche loro stentano a credere ai propri occhi. Questa mostruosa esibizione di tecnica, cuore e muscoli, si chiude sulle note di Here Be Monster, altra pièce de résistance di venti minuti che sigillano l’ennesima prova di superiorità insindacabile. I Motorpsycho sono una delle più belle realtà europee, il lavoro esemplare fatto in questi anni ha consolidato il rapporto con i fan elevandoli a band di culto assoluto. Il loro moniker è ormai legato indissolubilmente al rispetto che si sono guadagnati con vari cambi di rotta, scelte molto personali a volte apparentemente incomprensibili, senza snaturarsi. Incapaci di sedersi su scelte comode, alieni da compromessi, indipendenti e lontani dai riflettori, i nostri hanno dimostrato di non essere mai domi né paghi. Il power trio di Trondheim ha spaziato dal death metal (Lobotomizer/Demon Box) fino alle lussureggianti armonie pop di Let Them Eat Cake/It’s A Love Cult passando per divagazioni psichedeliche di Phanerothyme e arrivando fino al trittico p(rog)sichedelico composto da Still Life With Eggplants, Behind The Sun e l’ultimo parto ancora fresco di stampa. Possessori di un vasto bagaglio musicale e con un cuore così grande da renderli unici e inarrivabili nel loro genere, i tre norvegesi sfoggiano blues e psichedelia di cui andrebbero fieri Page e soci, ammiccano in modo intelligente a Robert Fripp senza nascondere una certa passione per i Kiss (Bent) e Deep Purple (Snah). Non sbagliano un colpo (se non per una leggera defezione di Bent nell’urlo di Watersound, viziato da un’acustica non del tutto adeguata e dallo sforzo della sera prima a Milano). Non c’è un solo momento su tre ore in cui affiori la benché minima noia e se la pensate diversamente è perché eravate fuori a fumare. 2 ore e 50 di pura sacralità rock, martedì 10 maggio si è assistito a una lezione di stile, mood, atteggiamento e tecnica di fine grana. Gli altri si mettano in coda, in debito d’ossigeno, doppiati da una band indomita e proteiforme.
P.S. per i pochi fortunati, al merchandise era possibile comprare la versione in vinile di “Here Be Monsters 2”, a ben cinque euro in meno del costo sul sito. Che Bent, Snah e Kenneth sono al di fuori degli schemi classici lo avevamo già detto vero?
Articolo del
19/05/2016 -
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