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In Italia mancavano ormai dal lontano 11 giugno 2007, data di quello sciagurato live che li vide involontari spettatori di un violento acquazzone che si abbatté sull’Arena di Verona annullando quasi totalmente l’unica loro data italiana. Lo spettacolo durò solo una cinquantina di minuti, grazie soprattutto allo stoicismo di Towshend che, abbandonato da Dartley, sfidò le intemperie traghettando da solo la band per almeno trenta minuti e provando a fare comunque tutto il possibile per accontentare i tanti presenti a Verona quella sera.
Quasi dieci anni dopo quello sfortunato evento gli Who annunciano il ritorno nel bel paese con ben due date a Bologna e Milano per ”The Who Hits 50”, il tour che celebra il loro cinquantesimo anniversario, ormai arrivato alle ultime tappe Europee. L’emozione per la notizia e la smodata passione italiana per la band, hanno portato immediatamente intere orde di Wholigans a polverizzare le prevendite per entrambe le date nel giro di poche ore. Le premesse insomma per assistere ad un grande evento c’erano tutte e assieme all’hype, nell’attesa cresceva anche la curiosità o il timore di scoprire se i “vecchietti” sarebbero stati ancora all’altezza o meno del loro nome.
La risposta arriva nel migliore dei modi, direttamente dalla qualità della loro esibizione. Uno shock visivo e sonoro generato da quello che si può annoverare tra gli spettacoli più riusciti ed esaltanti degli ultimi tempi. I “Kids” stanno bene e lo dimostrano sul palco di Milano e Bologna offrendo due concerti che difficilmente i presenti riusciranno a dimenticare. Un mix perfetto di visual mozzafiato e densi di citazioni proiettati su megaschermi ad accompagnare pezzi che hanno fatto la storia del rock come The Seeker, Who Are You, The Kids Are Alright, I Can See For Miles, Behind Blue Eyes, My Generation, quest’ultima riarrangiata ed arricchita ad hoc per l’assetto live.
Difficile per chiunque descrivere la potenza di quel plettro che esplode ripetutamente sulle corde della Fender di Towshend, arriva come una rasoiata su tappeti sonori abilmente tessuti dalla band e squarcia l’aria rendendola elettrica. I giovani presenti, ed i meno giovani, impazziscono fin dai primi brani e tutto questo calore viene subito percepito dalla band che si concede totalmente restituendo tutto, senza risparmiare un filo di energia. Dartley è un vero mattatore, fa roteare continuamente il microfono continuando a dimostrare che la potenza vocale è ancora rimasta intatta nonostante i 50 anni di attività, Townshend corre come un matto da una parte all’altra del palco divertendo e divertendosi (a Milano è stato anche protagonista di un goffo ruzzolone) scherza con il pubblico ed ogni tanto, tra un brano e l’altro, biascica simpaticamente qualche parola in italiano.
Scivolando attraverso i toni psichedelici Bargain, Join Together e You Better You Bet si approda al blocco centrale dello spettacolo, una sequenza di 4 brani estratti da “Quadrophenia”. 5:15, I'm One, eseguita chitarra acustica e voce da Townshend che la rende ancora più delicata ed intimista. Merita un accenno in più The Rock, il tema portante di Quadrophenia eseguito integralmente mentre una sequenza infinita di immagini legate ad eventi storici come la guerra in Vietnam o il crollo delle torri gemelle scorre alle spalle della band creando un amalgama vincente che ha reso unica l’esibizione di un pezzo altrimenti difficile da digerire dal vivo. Si arriva alla conclusione del blocco centrale, rimanendo fedeli al concept album, con la splendida Love, Reign O'er Me con il potente urlo dilaniante di Dartley a chiudere l’esibizione del pezzo.
E’ un concerto che non lascia molto respiro tra un brano e l’altro, potenza e perfezione nell’esecuzione saranno costanti nelle due ore di live. Gli ottimi innesti Zak Starkey, Simon Towshend ed il nostro Pino Palladino contribuiscono in maniera fondamentale ad alimentare la gigantesca macchina sonora chiamata The Who. Molti pezzi non seguono quasi mai un binario fedele all’originale ma vengono spesso abilmente riarrangiati e dotati di nuova linfa che a tratti sfocia addirittura in inaspettate jam session. Dopo circa un’ora e mezza tutto sembra pronto per il gran finale. Partono e sisusseguono una dopo l’altra e tutta d’un fiato Amazing Journey, Sparks, The Acid Queen, Pinball Wizard e See Me, Feel Me, tratte da “Tommy”. Anche qui il citazionismo dei visual è incredibile, flipper che vanno in frantumi, la copertina dell’album che si ricompone lentamente in un intreccio infinito di immagini, Tommy che fluttua nel cosmo, è uno spettacolo per gli occhi e per le orecchie. E proprio quando pensi di aver raggiunto ormai l’apice arriva il colpo finale, la doppietta killer Baba O'Riley/Won't Get Fooled Again. Il concerto finisce, la band ha dato tutto, il pubblico urla esaltato il loro nome, Daltrey e Towshend ringraziano e salutano visibilmente commossi. Si accendono le luci e a spicciolate ci si allontana dalla venue con la sensazione di aver assistito a qualcosa da raccontare alle generazioni che verranno, il racconto di un viaggio immaginifico attraverso 50 anni di storia del Rock.
(La foto è © Daniele Flamini)
Articolo del
26/09/2016 -
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