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God Is An Astronaut
God Is An Astronaut @ Villa Ada, Roma, 10 luglio 2017
di
Lucrezia Ercolani
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Tutti i gruppi post-rock si sono dovuti evolvere in qualche modo. L’hanno fatto i Mogwai, forse la band che incarna il genere più di chiunque altro; l’hanno fatto i Godspeed You! Black Emperor (a dir la verità da sempre i più eccentrici) e ultimamente l’ha fatto addirittura quel gruppo un po’ melenso che sono gli Explosions In The Sky. Sorti a cavallo tra i ’90 e i ’00, per quanto mirassero a una decostruzione della canzone rock, questi gruppi si sono trovati impigliati in una manciata di cliché ripetuti a iosa. Da qui la necessità del cambiamento.
Il discorso vale anche per i God Is An Astronaut, che troviamo in quel di Villa Ada in questa torrida “estate romana”. C’è da dire che il gruppo irlandese attivo da 15 anni è sempre stato il più “etereo” e progressive tra le formazioni citate.
Rispetto a loro hanno sempre prediletto sonorità più ambientali e soft. Sin dal nome, la definizione di space rock gli calza a pennello. Per questo è interessante la direzione che i GIAA stanno prendendo poco a poco: naufragati gli esperimenti in territorio elettronico, stanno mirando a sonorità più heavy e arrabbiate, senza però abbandonare i momenti d’atmosfera (come già si era potuto ascoltare nell’ultimo album Helios | Erebus, che risale ormai al 2015).
Dal vivo confermano questa impressione, cercando di bilanciare le due tendenze: dopo un inizio sognante con Pig Powder (estratta dall’ultimo album), due brani di grandi impatto come Age of the Fifth Sun dove fa capolino il doppio pedale e Echoes con le sue schitarrate. I momenti alti del concerto sono tanti: Snowfall è una canzone introspettiva e malinconica, da far venire i brividi. La bellissima title-track Helios Erebus è la sintesi perfetta di tutte le loro sonorità: dopo un inizio morbido e prog ecco l’esplosione della chitarra a portarci in territori metal. Il piano che si inserisce a metà canzone è emozionante, l’uso della voce che fa il chitarrista Torsten Kinsella (fondatore del gruppo insieme al fratello e bassista Niels Kinsella) è particolarissimo: un’eco in lontananza che si mescola con gli altri suoni, quasi che fosse un altro tasto premuto sul synth.
Il chitarrista inizia a comunicare maggiormente con il pubblico e presenta Red Moon Lagoon mettendola in relazione con il bel laghetto di Villa Ada. È un pezzo strano, tratto da uno strano disco (Origins) ma che dal vivo diventa molto energico e fa un figurone. Segue quella che è ancora la loro canzone più acclamata, All is Violent, All is Bright con il suo classico fugone post rock. Dopo Fragile, Torsten Kinsella dice che le loro canzoni rispecchiano sempre momenti della loro vita e che suonare quest’ultimo pezzo per lui è sempre difficile. I God Is An Astronaut sono un gruppo sincero, che non cerca la visibilità ma anzi, a volte risultano anche un po’ timidi e ad essere in primo piano non è la loro immagine ma la loro musica.
Segue Forever Lost, canzone toccante dedicata a chi si sono lasciati alle spalle e agli ex-membri del gruppo che hanno preso altre strade. È poi il turno di Route 666: la loro canzone “satanica” che Torsten Kinsella ricorda divertito di aver suonato nei Paesi della Bible Belt americana, dal vivo diventa mille volte più cattiva e d’impatto (come tanti altri pezzi del resto).
I GIAA ci salutano dicendo che torneranno l’anno prossimo con un nuovo album. Non possiamo che essere contenti e consigliargli di spingere in modo ancora più deciso in questa direzione di cambiamento. La prossima volta magari ci proporranno di nuovo i video che accompagnano solitamente le canzoni, completamente assenti oggi, il che è un peccato vista la fama dei loro "full audio video show”
(foto di Giancarlo De Chirico)
Articolo del
12/07/2017 -
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