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Serata da non mancare che ci porta all’incontro con l’astro nascente del nuovo jazz americano, il sassofonista Kamasi Washington, che presenta dal vivo brani tratti da “The Epic”, il suo ultimo album, osannato dalla critica. Si tratta di un disco davvero eccellente, uscito nel 2015, un’opera enciclopedica (o quasi) che si compone di tre cd, per un totale di quasi tre ore di musica.
Non vediamo l’ora di assistere alla versione “live” di un repertorio del genere, riconducibile alla musica jazz, ma che contiene sfumature e suggestioni musicali diverse. Collaboratore di figure importanti della nuova scena “black” come Kendrick Lamar e Flying Lotus, Kamasi ha conferito al suo sax tenore nuove aperture e tonalità che gli hanno permesso di coinvolgere un pubblico sempre più ampio.
Questa sera è accompagnato sul palco dalla sua “tour band”, una vera e propria orchestra che comprende - oltre al bassista Miles Mosley, al tastierista Brandon Colerman, al trombonista Ryan Porter e alla graziosa “vocalist” Patrice Quinn - ben due batteristi!
“Dovete sapere che quando avevo appena tre anni già suonavo la batteria “ confessa Kamasi “ E’ per questo che adesso non mi basta un batterista, ce ne vogliono almeno due!“. Più tardi, nel corso del concerto, si aggiungerà al gruppo Rickey Washington, il padre di Kamasi, al sax soprano, a conferma del fatto che la passione per la musica - quella vera - passa da padre in figlio con le stesse modalità dello scorrere di un fiume. Kamasi adesso ha 35 anni, vive e lavora a Los Angeles e la sua presenza scenica è a dir poco imponente: non molto alto, ma dotato di un fisico imponente, indossa vesti lunghe molto colorate e pesanti, sulle quali campeggia un medaglione d’oro.
Sembra un santone, pronto a dedicarci un sermone in musica, fatto di assoli prolungati e sorprendenti, ma anche di cambi di ritmo improvvisi. Abbiamo apprezzato su tutto composizioni come “Askim”, “The Magnificient Seven”, “Black Man” e “Cherokee” (cover di un brano di Ray Noble), fatti di melodie invero molto semplici, ma immediate e di incroci armonici assolutamente incendiari.
La chiave del successo della proposta musicale in jazz di Kamasi è nel “groove” interno alla partitura strumentale, un torrente di note sempre pronto a sfociare in un mare increspato e profondo. Un percorso musicale ricco di deviazioni che mettono fuori strada chi si preoccupa di catalogare, o almeno di riconoscere, un certo genere musicale. Di certo non siamo in presenza di un jazz classico, piuttosto ritroviamo radici di tutto questo nel free jazz di John Coltrane e nella improvvisazione selvaggia di Miles Davis, tanto per fare due nomi conosciuti.
Da segnalare ancora nel finale una buona esecuzione di “The Rhythm Changes”, là dove l’interpretazione vocale di Patrice Quinn sembra avere l’intento di conferire qualche respiro melodico alla frenesia esagerata dell’impatto musicale del resto della band. Kamasi saluta dopo due ore di concerto e ci lascia l’impressione di aver incontrato un musicista di valore assoluto, dalla grande perizia tecnica, che cerca di far percorrere al jazz delle vie nuove, fra incursioni nella soul music, nel funk e nella sperimentazione
(foto di Viviana Di Leo)
Articolo del
22/07/2017 -
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