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Mentre le pareti del Monk venivano squassate dal rock and roll degli Oblivians, pensavamo a quanto sarebbe stata catartica una loro (immaginaria) irruzione sullo stesso palco due anni fa, il 20 febbraio 2016, durante l’esibizione, insostenibile, di Sam Prekop, in apertura del concerto dei Tortoise. Sarebbero bastati due pezzi del loro repertorio per farlo fuggire a gambe levate con i marchingegni che gli erano serviti a propinare agli sfortunati presenti quasi un’ora abominevole di “elettronica strumentale”.
Serata davvero memorabile, questa, animata dall’atmosfera elettrizzante e festosa creata già dai due validi gruppi spalla: i Barsexuals, voce, chitarra elettrica e batteria, e i Gentlemens, un altro trio ma con una sei corde in più a rendere più corposo il suono. Brillanti i primi: set incalzante e nessuna concessione all’idea di “look”; sembrano usciti da un film di Ciprì e Maresco, e non sfigurerebbero in un b-movie americano ambientato nel profondo Sud (intendiamoci, sono entrambi complimenti). Più “curata” la performance dei secondi: di sicuro efficaci, e carismatico il frontman, forse un po’ troppo Jon Spencer nelle movenze. (Per il sottoscritto la palma la riportano i Barsexuals…).
Immensi gli Oblivians.
Provenienti dal sottobosco creato da etichette quali Norton, Crypt, In The Red e Sympathy for the Record Industry, dalla prima metà degli anni Novanta Greg Cartwright, Jack Yarber e Eric Friedl hanno rivisitato le sonorità più crude e viscerali di blues, country e rock and roll fondendole con l’irruenza del garage e del punk. Una miscela esplosiva: la canzoni sono schegge tanto concise quanto incisive, che i tre eseguono con un trasporto trascinante. Cartwright in particolare sembra scosso da scariche elettriche; suona con energia sorprendente, mentre nei suoi ululati rivivono figure leggendarie quali Howlin’ Wolf.
A un certo punto del concerto, Greg si siede alla batteria, e Jack Yarber, metronomo in carne e ossa, passa alla sei corde; i ritmi ovviamente rimangono quelli tribali che entusiasmano il pubblico, alternati ogni tanto anche a corse a rotta di collo che omaggiano i Ramones. Pure Eric Friedl, fondatore della Goner Records, si dà anima e corpo all’esibizione, durante la quale vengono eseguiti brani quali Woke Up In A Police Car, No Reason To Live e I’ll Be Gone. Si tira anche il fiato in un paio di momenti: da ricordare soprattutto la ruvida dolcezza di Live The Life, pezzo gospel irrobustito e riadattato per sposarsi a meraviglia col resto della scaletta.
Lo dobbiamo a musicisti come gli Oblivians, lontani dai clamori mediatici e dalle acclamazioni del grande pubblico, se generi tradizionali che affondano le proprie radici nei primi decenni del Novecento (o addirittura negli ultimi decenni del secolo precedente) continuano ad esercitare, declinati e riletti in maniera intensa e febbrile, il loro indiscutibile, talvolta selvaggio, irresistibile fascino
Articolo del
21/05/2018 -
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