Biglietto comprato a dicembre 2017, sette lunghi mesi d’attesa a cui si sommano i cinque passati dal precedente The Wall Tour poi, di colpo, e quasi senza accorgersene ci si ritrova al cospetto di sua maestà, Roger Waters.
Bisogna fare una premessa che non serve per salvare la faccia, il giorno dopo quando tutto è compiuto bisogna iniziare a cercare le parole, i costrutti, le frasi o qualunque cosa possa servire per descrivere cosa è successo ieri, ammesso che le emozioni si possano raccontare. In merito a queste ultime Roger Waters è un maestro assoluto, le ha strappate dal cuore proiettandole fuori attraverso capolavori che lacerano la pelle ancora oggi, sì anche a distanza di 40 anni.
All’arrivo la vista del palco è davvero imponente e, man mano che ci si avvicina, l’accelerazione del battito cardiaco diventa inversamente proporzionale al rallentamento dell’andatura causa ginocchia rese insicure dall’emozione. Lo schermo di 66 x 12 mt, la cui risoluzione è probabilmente in 8k, e le dodici colonne di casse incombono minacciose sul pubblico accendendosi solo 20 minuti prima della comunicazione di D’Alessandro e Galli che prevede l’inizio dello show per le 21.30. Le piste audio del battito cardiaco e le urla isteriche che precedono Breath invece irrompono maestose alle 21.29, proprio un attimo prima che il sole, ormai sul viale del tramonto, rimandi a domani il suo quotidiano e affascinante lavoro.
Inutile cercare paroloni o raccontarvi la serata con un live report classico. Quello che conta sottolineare è la capacità di Waters di creare tre diversi, e coinvolgenti, livelli sensoriali suddivisi in vari substrati, dai visual agli effetti fisici creati fra le pieghe della folla fino alla dedizione di tutti i musicisti, capaci di un suono che in più momenti sembrava provenire direttamente da un supporto digitale pre-registrato, tale è stata quella perfezione così imponente, spaventosa a tratti, da creare vertigine.
Studiato e calibrato per un'inarrestabile serie di emozioni, dall’arrivo del maiale volante che ci invita a rimanere umani alla piramide di luci laser la cui cuspide si ergeva al centro del prato A, tutto scorre come in un docu-film. Us + Them Tour non è solo un concerto, va oltre i precedenti show di questo formidabile performer.
È un happening, un sogno da cui egli stesso sa come svegliarci con manrovesci politici, invettive al vetriolo che trovano spazio nella costruzione di un muro non più fisico ma sonoro. Roger non fa più uso di mattoni, e non crediamo lo farà mai più, sfrutta suoni per immagini che scorrono attraverso brani di ben 5 dischi, fra cui il suo ultimo.
Si va da The Dark Side of the Moon, la cui unica pecca è l’arrangiamento poco efficace di The Great Gig in The Sky, fino all’arrivo di una quasi inaspettata Welcome To The Machine in cui (sembra una maledizione tutta italiana) il microfono del bassista rimane muto per la prima strofa, proprio allo stesso identico modo di Nobody Home nel precedente tour e in tutta onestà, pensando all'ossessiva ricerca della perfezione del nostro, viene un po’ da sorridere all’idea dei due fonici in questione e di quelle due gocce di sudore, fredde, che saranno colate giù lungo la loro schiena).
45.000 persone assistono, quasi stordite, a un’opera d’arte capace di travalicare, per pochi istanti controllati, la ragione per un puro godimento sensoriale in quadrifonia, forte di policromatiche combinazioni di luci impegnate nella poetica arte della maraviglia. Testi e immagini richiamano la soffocante ombra della guerra e in un attimo si finisce su argomenti a lui molto cari, dall’immigrazione ai porti chiusi fino all’economia mondiale gestita da pochi avidi personaggi. Da Trump a Le Pen, spiaccicati come mosche senza via di scampo, su quell’impietoso schermo che non lascia spazio a nascondigli, Waters prende il mostro e lo sbatte in prima pagina per svegliare le coscienze dei presenti, trasformati in materia inglobata e sfruttata dallo stesso show. Una parte viva e integrata, pulsante con una coscienza presa a calci dal vecchio leone inglese. È un risveglio brusco, necessario e vitale per il futuro delle nuove generazioni.
Waters nega se stesso a favore della scena, rimpicciolendosi come mero sfondo di un enorme schermo, specchio dell’andamento della vita attuale, la sua e quella di noi tutti. Noi, appunto, ma non solo, ci sono anche loro quelli che vorrebbero distruggere il mondo e gli altri che scappano dalla guerra inseguendo sogni e speranze che in musica, e senza inutili giri di parole, è perfettamente rappresentato dall’arrivo della toccante Us And Them.
Le coriste parruccate platino, il cui trucco pesante sembra un omaggio a Blade Runner, hanno un bel da fare per tutto il concerto e ancor di più sugli estratti di Is This The Life We Really Want?, Déjà Vu, The Last Refugee e Picture That, in cui Roger rafforza la sua netta posizione, la stessa che ci invita a sposare dall’alto del palco concludendo con un Resist posto come monito alla fine Another Brick in The Wall Part III.
Venti minuti di pausa, forse un po’ troppi, prima della ripartenza anticipata dalle torregianti ciminiere di Battersea Power Station, luce verde per l’arrivo delle stratosferiche Dogs e Pigs che si abbattono sugli astanti come un feroce uragano. È lo stupore assoluto, seguito dalla resa incondizionata dei presenti con l’arrivo di Wish You Were Here prima della grande festa finale affidata a Brain Damage/Eclipse.
Dopo aver presentato la band, con una menzione davvero speciale per il nuovo arrivato Jonathan Wilson (curatore dei suoni e produttore dell’ultimo disco di Waters), Waters ringrazia veramente tutti e con qualche lacrima, asciugata velocemente perché gli dei non piangono in pubblico, beve il suo the mentre manda affanculo un coglione che la sera prima sulla sua pagina aveva scritto, “speriamo che salga sul palco e suoni i suoi pezzi evitando di fare politica”.
E invece no, Roger parla e a lungo fino all’arrivo di Mother, semi acustica, cantata con l’ultimo filo di voce ancora bastante per la tanto attesa perla Comfortably Numb. Mentre Wilson si occupa delle parti vocali di Gilmour, e i tecnici sono sicuramente pronti a deflagrare i fuochi finali che sigilleranno la vittoria schiacciante del vecchio bassista dei Pink Floyd, Kilminster suona l’assolo finale appoggiato sulla schiena di una delle coriste dando sfogo a tecnica e viscere.
L’esplosione pirotecnica che sancisce la fine di tutto lascia però una finestra aperta sulla speranza riprendendo il tema iniziale affidato a quella donna in attesa sulla spiaggia, fra i suoni del mare e dei gabbiani, raggiunta infine da una bambina, simbolo di un (potenziale) futuro libero dalla disumana rapacità degli attuali governatori del mondo.
Uno spettacolo divino, forse l’evento più intenso, vivo e infinitamente bello assaporato negli ultimi venti anni.
Grazie di tutto Roger, grazie davvero
Setlist 1. Speak to Me 2. Breathe 3. One of These Days 4. Time 5. Breathe (Reprise) 6. The Great Gig in the Sky 7. Welcome to the Machine 8. Déjà Vu 9. The Last Refugee 10. Picture That 11. Wish You Were Here 12. The Happiest Days of Our Lives 13. Another Brick in the Wall Part 2 14. Another Brick in the Wall Part 3 15. Dogs 16. Pigs (Three Different Ones) 17. Money 18. Us and Them 19. Smell the Roses 20. Brain Damage 21. Eclipse
Encore: 22. Mother 23. Comfortably Numb
Articolo del
16/07/2018 -
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