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Thee Hypnotics
Thee Hypnotics live @ Monk Club - Roma, 22 settembre 2018
Roma
22/09/2018
di
Giuseppe Celano
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Miracolati, reduci, sopravvissuti e fattissimi. Ognuno di questi aggettivi si potrebbe affibbiare singolarmente ai membri dei Thee Hypnotics, Jim Jones, Ray Hanson, Phil Smith e Jeremy Cottingham, di scena a Roma dopo l’inaspettata reunion confermata a inizio anno e a ben 25 anni di distanza dal loro ultimo concerto capitolino.
Nonostante la presenza di moltissime macchine parcheggiate, e un continuo andirivieni dal giardino del Monk, si è veramente in pochi di fronte al quartetto inglese già bello gonfio d’alcol. È Soul Trader a dar fuoco alle polveri per un’ondata di gioia pura, sublimata dal leader in piena forma. Sì è ancora vivo e ha retto botta, dopo tutto questo tempo è tornato a noi con una voce roca e potente. L’atteggiamento è quello visto dieci anni prima con la Jim Jones Revue, stuzzica e coinvolge il pubblico in ogni break fra un brano l’altro mentre il chitarrista è impegnatissimo a non barcollare mentre cerca di risolvere le rogne con le chitarre e i monitor. Al di là dei problemi tecnici on stage, che il frontman liquida con freddezza inglese e un laconico “the show must go on”, sottopalco l’acustica discutibile costringe i presenti a frequenze così basse che si ha come la sensazione di stare dentro una vecchia discoteca di Riccione. Jones (tra)suda (un’anima) rock and roll che bagna quella camicia di due taglie più piccola e lascia intravedere uno stomaco martoriato da ettolitri di alcol e sostanze psicotrope. Hanson invece è su un’altra dimensione, tutta sua, impegnato a imbracciare e togliersi la chitarra più volte, facendola girare come un redivivo Hendrix. Gli sguardi di Jim sono rivolti al batterista che anticipa l’arrivo di ogni brano contenendo così gli sproloqui del singer. Nell’aria fluttuano i fantasmi di MC5 e Stooges per quest’ora acida, sporca negli intenti e nel piglio, rigata a metà set da qualche svisata troppo morbida che per fortuna dura davvero poco prima che i nostri si buttino nella semi jam Revolution Stone (mutuata in parte da Third Stone From The Sun di Hendrix). La successiva Shakedown è anticipata da un “Fuck The Oasis” sputato a denti stretto da Jim. Suonano sporchi e imprecisi come è giusto che sia, ancora pericolosi e credibili chiudono con Justice In Freedom fra l’ondeggiamento del pubblico, gli applausi dovuti e necessari, e l’headbanging di teste ingrigite dal tempo.
È tutto reale, nessun atteggiamento da poser, non si ha neanche per un attimo la sensazione di assistere a qualcosa di preparato per shockare i presenti. Se posti in una condizione acustica ottimale, i Thee Hypnotics potrebbero spazzare via 2/3 dei nuovi sedicenti psych rocker.
Articolo del
24/09/2018 -
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