Arriviamo a Villa Ada verso le 21.00, c’è una fila davvero notevole, una volta dentro s’inseguono voci di corridoio per cui pare che l’attesa stimata per entrare sia di un’ora. Alcuni desistono, andandosene, lamentando sui social una cattiva organizzazione.
Ma passiamo alla musica.
Alle 21.40, cinque minuti di droni introducono gli ZU. Due colpi di basso cingolato, seguiti da qualche mazzata delle pelli, ci riportano dentro le strutture ansiogene “Carbonifeorous”. Per i dieci anni dalla sua uscita via Ipecac Records (si quella di Mike Patton) i nostri hanno fatto le cose in grande invitando sul palco Stefano Pilia ottenendo così un ulteriore ispessimento del suono che fuoriesce egregiamente dalle casse grazie all’impagabile lavoro di Lorenzo Stecconi (“Lento”). Suonano per un’ora abbondante fatta di controtempi e ritmiche spezzettate producendo una fra le possibili colonne sonore dell’apocalisse, cesellata dagli interventi del sax baritono di Luca Mai. Pestano forte, impietosi, spaccando e destrutturando tutto per ricostruire con classe, eleganza e una dose quasi letale di rumore. Li troviamo in forma, non c’è che dire, anche più potenti del set di due anni fa al Roadburn. ZU, padroni della sperimentazione tra jazz e math-core, sparano in un ordine sparso “Carbon”, “Chthonian” e “Beata Viscera”. Seguono “Soulympics” a cui aggiungono una formidabile “Axion” spingendosi fino a “Erynis” per confluire su “Ostia”. Dopo la feroce “Obsidian” chiudono con “Mimosa Hostilis”, forte di un volume efficace, arricchita dalla pulizia dei suoni e dai canali ben separati che contribuiscono a rendere perfetto questo ritorno. DEVASTANTI.
Un quarto d’ora dopo, in un universo parallelo…
Sono le 23.00 quando arrivano le superstar, si fa per dire, della serata. Gli I Hate My Village, band nata dall’incontro tra Fabio Rondanini alla batteria (Calibro 35, Afterhours) e Adriano Viterbini alla chitarra (Bud Spencer Blues Explosion, Black Friday) e Alberto Ferrari dei Verdena, sono rei di un sound fortemente influenzato dal blues desertico, a cui applicano il fuzz risvegliando i fantasmi di Bombino e Tinariwen, su ritmica Battles, e distorsioni varie accumulate nell’opener “Presentiment”.
Maestri nel tenere il palco, sebbene siano giovani anagraficamente ma rodati da decine di live, avremmo preferito qualche posa in meno da parte di Viterbini e l’eliminazione di quell’effetto insostenibile applicato alla voce di Alberto. Risultano meno precisi nei dettagli live rispetto alla produzione su disco risuonando quindi più grezzi e punk, passateci l’azzardo, attraverso “Tramp” e “Fare Fuoco”.
Sebbene la prima parte del concerto parta a razzo filando via liscia, con un pubblico davvero entusiasta (manco avessero visto i TOOL), a metà qualcosa s’inceppa tradendo una sorta di stanca compositiva, abilmente camuffata in studio, amplificata anche dalla cover Don’t Stop Till You Get Enough (Michael Jackson). Fra le altre, eseguono “Elvis e Chennedi” (bonus track), “Acquaragia”, “Fame” e “Bahum” fino a “Tony Hawk Of Ghana” con tanto di pubblico sul palco, proprio come fece Tricky 7 anni fa.
Sigilla il tutto “Tubi Innocenti” travolgendo completamente il pubblico, davvero tanto stasera, con una conclusione pirotecnica e liberatoria, per loro ma soprattutto per noi anziani che a ‘na certa…ci siamo capiti
Articolo del
05/07/2019 -
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