L’arrivo nella capitale degli Haken il 7 luglio, nell’ambito del Rock In Roma 2019, non è passato inosservato ai più. Nel palinsesto contestato di questa edizione il loro nome è risuonato come un richiamo suadente per gli appassionati accorsi ad ascoltare una delle band di punta del progressive metal moderno, fra le tante cresciute dopo che questo genere aveva ottenuto nuova linfa dall’avvento dei Dream Theater.
Nati nel 2007 la band britannica ha inanellato negli ultimi anni alcuni album bellissimi come The Mountain o The Affinity, fino ad arrivare all’ultimo nato Vector, datato 2018. Ad aprire per loro in questa serata romana c’erano i New Horizons, gruppo proveniente da Pisa che segue questo stesso ed oramai affollatissimo genere, e che, purtroppo, ne ricalca gli eccessi senza spiccare in personalità. Ne fuoriesce un insieme di canzoni che non aggiunge nulla a quanto di già fatto da tanti altri esponenti, ed un po’ dispiace visto il bisogno nel nostro paese di band che sappiano elevare il proprio suono sopra la massa dei tanti copia e incolla.
Durante il cambio palco l’aria diviene leggermente più fresca e la notte giunge facendo risaltare le mille luci del più piccolo fra i due stage presenti al Rock In Roma. Con Vector gli Haken hanno trasformato quanto di ottimo già fatto in The Affinity nel 2016, ed anche se quello che ne viene fuori è l’album più breve della loro carriera, l’ispirazione sempre alta dei loro pezzi rende la durata un’inezia visti gli infiniti risvolti che si nascondono anche all’interno del brano più corto. All’arrivo dei vari componenti del gruppo lo sfondo rivela la copertina infuocata dell’ultima uscita, incarnata da una macchia di Rorschach, e il pubblico inizia a scaldarsi sul serio in vista di quello che poi si rivelerà essere un concerto assolutamente pazzesco. Pur essendo come detto prima affini al filone prog “alla Dream Theater”, gli Haken a mio parere se ne distaccano, e di molto, quando si parla di originalità nei temi trattati o nella composizione, basti pensare a canzoni geniali come Cockroach King. Durante la scaletta del concerto questo fattore diverrà chiaro alle orecchie di tutti, fan della prima ora o ultimi arrivati, grazie anche a Ross Jennings che alla voce sorprende attraverso uno stile fascinoso ed estraniante, immediatamente riconoscibile nella sua peculiare unicità.
A ciò va ad aggiungersi una presenza scenica sempre sorprendente, come quando ad un certo punto torna sul palco con degli occhiali anni 80 illuminati da sgargianti tonalità viola e verdi. Il risultato è uno spettacolo che appaga gli occhi oltre che le orecchie, e dove ogni pezzo sembra sempre il preambolo a qualcosa di celato, pronto ad essere catturato solo dagli ascoltatori più pazienti. Attraversando le sfumature elettriche dei singoli di Vector, come The Good Doctor e Puzzle Box, si arriva poi a toccare l’epicità di In Memoriam ed Earthrise, tratte da The Mountain, finendo per rilasciare ogni energia rimasta con la lunga suite The Architect dall’album The Affinity. La resa è senza eguali, e sono sicuro che nessuno di coloro che era presente potrà mai proferire il contrario.
Un’edizione del Rock In Roma dunque che, nonostante le tante polemiche, riesce comunque a risvegliare sensazioni ed emozioni sepolte nella mente che si credevano da tempo sopite. Quale band meglio degli Haken avremmo potuto desiderare per questo compito?
Articolo del
10/07/2019 -
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