Al Rock in Roma è la serata del rap della strada, distorto, poetico e rabbioso, dalla provincia alla capitale, andata e ritorno. Un flusso continuo di giovanissime e giovanissimi si accalca sotto il palco. Al bar qualche mamma ha portato con sé riviste e libri da leggere per ingannare l’attesa, dall'imbrunire a notte fonda, e astrarsi dal delirio che sta per precipitare nel palco più piccolo di Capannelle, più di tremila persone in fervida, esaltata, sorridente attesa.
Prima del tramonto sale sul palco il giovanissimo Masamasa da Caserta e la sua fluente parlantina, con Tangenziale e Tutto di te, tra pop immaginifico e rap melodico, con l'altrettanto giovane produttore Simoo alle splendide basi. Poi la tardo-trap rumorista e post-futurista, delirante e decostruzionista, accidiosa e afasica di Garage Gang, quelli di Veltroni, Bimbo Bamba, GG Armani e Bling Blow titoli di folli pezzi che sconfinano in un weird pop sospeso tra disadattata retromania e futurabilità romanesca, suonati a partire dall'app musicale per telefonini GarageBand. Nella performance di Pretty Solero, della LoveGang 126, posse trasteverina che stasera festeggia qui a Capannelle, c'è l'occasione per ascoltare Cavalli di Troia, hit di Wing Klan coppia di rapper romani da seguire, formata da Joe Scacchi e quindi Tommy Toxxic aka Goya, recentissimo autore di un primo, superlativo e troppo sottovalutato, disco, titolato Ghost, del quale torneremo a parlare presto, si spera.
Ma ecco che intorno alle 21 sale sul palco Speranza ed è una piccola, devastante, epifania sonora e verbale. Un assalto di frastuono e poesia. Seguiamo da tempo il rapper di Caserta, nato e vissuto a lungo in Francia, ma è il primo live cui si assiste e parte subito in quarta, con Manfredi, ultima hit che evoca il protagonista della serie Suburra, video uscito da pochissimo girato con molti ragazzi in quel di Caserta, per la regia di Rafilù Rafele, suo sodale e fratello di posse, anch’egli giovanissimo writer e rapper casertano con il nome di Barracano e spalla nel pezzo Modalità, sul palco insieme al resto della posse, con bandiere di minoranze sinti, kosovare, palestinesi da sbandierare e l’urlo di Speranza (è il caso di dirlo!) Ogni minoranza è maggioranza. Eppoi letteralmente il terremoto sonico e salti indefessi tra palco e pubblico, con il ritornello immediato, che apre lo spettacolo: Vestito come Manfredi/nervoso come Manfredi/d’onore come Manfredi/zingaro come Manfredi.
Sarà così per l’intera durata del live. Speranza e la sua posse sono un fiume in piena, di rabbia e potenza senza limiti, un’onda di sovversione continua, che alimenta energia, dalle casse a palla alle nostre orecchie, dal palco al prato, dove nelle rare pause sonore si formano decine di cerchi vuoti al centro e pronti per essere riempiti da un pogo sfrenato, gioviale e sfrontato, in un clima da postmoderno hardcore di strada. Con una fanbase che si muove da Caserta per i suoi live ed è felicemente salutata da Speranza. Fomento allo stato puro. Seppure non si riesca quasi a capire il misto di stretto dialetto casertano e barre in francese che Speranza dissemina nei suoi pezzi, le basi da old school dell’hip hop di Frank sono semplicemente esplosive, così ecco Sirene, Pagnale, Sparalo, il rabbioso, forsennato urlo continuo di Givova: Trasim 'nta galera ca tuta ra Legea/Ra Zeus o ra Givova/Scarpe slacciate o' per/Fors sbagliamm i mod/Ma nu sbagliamm a moda, quindi l’amaro disincanto di A rindr teng e cumbagn/A for manc 'n amic! Carcere e solitudine, malavita da evitare e vuoti metropolitani: fa venire in mente il bianco e nero del carcerato Salvatore Lojacono, interpretato dal grande Totò, di Dov'è la libertà...? (regia di Roberto Rossellini, 1954).
In mezzo solo una piccola pausa nella quale viene mandata Zingarella, pezzo gypsi-sinti-campano di quando Speranza si faceva chiamare Ugo de la Napoli. Ma poi ecco che il palco torna a vibrare al suono di tre o quattro colpi di pistola con Chiavt a Mammt, un pezzo delle origini, qui accompagnato dall’emoticon col pugno chiuso proiettato sullo sfondo. E a noi oramai (troppo?) vecchi frequentatori delle diverse ondate dell’hip hop italico torna in mente la sfrontata sovversione dialettale, in quel caso proveniente dal litorale abruzzese, del grandissimo LouX e della sua posse Costa Nostra, soprattutto in un live al fulmicotone, “fuori da Rebibbia”, nei primissimi anni Novanta, a fianco di Assalti Frontali e AK 47. Stessa spavalda esuberanza. Ed un certo legame con una parte della vecchia scuola romana traspare in questo che si configura come uno degli eventi clou del Rock in Roma, poiché fanno capolino sul palco anche Noyz Narcos e Chicoria, tra i pochi re del rap romano, mentre Massimo Pericolo, da Gallarate e Brebbia, sale da solo, anch’egli perso tra strofe sul riscatto personale, sull'emancipazione dal carcere e sulla scellerata vita da strada che tocca in sorte, con l’invocazione Voglio un urlo disperato per tutte le province italiane! Roma, Caserta, Brebbia capitali d’Italia!
Ed ecco esplicitata la portata di questa serata epocale, di questa generazione di giovani rapper che prendono la parola dalla depressa provincia italica alla ingovernabile Roma, quasi per provincializzare la capitale nel divenire universale di quella condizione da provinciale, lontana da tutto, dentro una vita precaria, dissipata tra bar, muretti, piazze, scalette che trovi anche a Trastevere, al centro di Roma, che fu mai Caput Mundi? Così si alternano le hit di Scialla semper, Amici, 7 miliardi e quindi Ansia con Ugo Borghetti della LoveGang 126, invocato, amatissimo, dal pubblico e pronto a sgridare saggiamente un qualche litigioso invasato sotto palco: “siamo a un concerto, ci divertiamo e basta!”.
Alle 22.40 ecco salire sul palco Ketama126, al secolo Pietro Baldini, maestro officiante di quella che è una bolgia di abbracci e pogo sottocassa, dietro alla consolle il producer G Ferrari fa partire Angeli caduti tra cori, salti e mani al cielo: A volte sembro un angelo, yeh/Caduto dal cielo oh oh/A volte sembro il diavolo/Che ti porterà (al)l'inferno oh oh. Quella di Ketama, che vediamo live per la terza volta, sempre migliore, è un'attitudine a metà tra la ruvidezza hardcore e la passione esistenzialista, con una voce oramai potente e ipnotica, un atteggiamento ieratico, cappellino calato su un volto scavato e occhiaie sul volto, direbbe Franco126, torso nudo e suoni che restituiscono il meglio di una rumorosa produzione rap, post-grunge e tardo-punk. Stile, approccio e postura unici, nell'attuale panorama italico.
Poco dopo sale Pretty Solero per duettare in Sono quel che sono e la sua performance nudista diviene subito lo scandalo web e l'oggetto di pruriginose cronache del giorno dopo. Ma le giovanissime e i giovanissimi sotto il palco sono già immersi in Dolcevita e nel coro disperato di Piccolo Kety dall'album capolavoro Oh Madonna (2017), il pezzo preferito, più intimista, sospeso tra dipendenze, pregiudizi e riscatto, con sonorità a metà tra pop anni Settanta e trap delle origini: Piccolo Kety non vogliono che tu vinca/Vogliono vederti al SerT o in gattabuia e quel Non mi avrete mai/Non sono come voi che sembra un manifesto esistenziale e politico per tutti i ragazzi e le ragazze più o meno introversi e terribili. E Ketama che esorta quegli stessi ragazzi a credere nei propri sogni, nel possibile riscatto, per andare fino in fondo, fidandosi solo delle persone che vi vogliono bene.
Il concerto prosegue con Franco126 che duetta su Misentomale, quindi con due ballerine di polo dance che salgono sulle pertiche montate ai lati della consolle, evocando ancora una volta scenari cinematografici, come le due gemelle ballerine al suono di Hero dei Foo Fighters in Somewhere (2010) di Sofia Coppola. Intanto tra il pubblico sempre più maestri di cerimonie si industriano nel formare cerchi tra le persone, quasi rituali negromantici per creare quel vuoto riempito poi da salti, balli e spinte, in particolare con Pantani il pezzo forse più insistentemente richiesto dal pubblico, ma anche con Rehab e Lucciole.
A poco a poco il palco si riempie di persone, Ugo Borghetti prende il microfono per Cancun eppoi di nuovo Franco126 e Asp126 per CXXVI, contenuto nel disco Cuore Sangue Sentimento (2019) del producer Drone126, vero e proprio inno della LoveGang 126, oramai al completo sul palco (a parte Pretty Solero che è riuscito nell'impresa di farsi cacciare dalla security del suo stesso concerto).
Si finisce con la festa sul palco di tutta la LoveGang CXXVI, perché seppure si stia parlando di solisti, la forza te la dà il collettivo, lo spazio comune condiviso con decine di ospiti, cantanti, musicisti e amici del quartiere, i rapper che avevano aperto, ma anche i già ricordati Noyz e Chicoria, poi fa capolino Dylan Thomas Pyrex, sembrano mancare solo Gianni Bismark e Tauro Boys, probabilmente impegnati nei loro tour estivi. Ketama anticipa al pubblico l'uscita del nuovo disco, poi si butta sotto palco, quindi si chiude con l'introspettiva, nichilistica litania di Potrei, con cassa dritta finale e Scacciacani con Massimo Pericolo.
La serata sembra finita e come capita spesso in questi concerti non c'è neanche la forza di chiedere il bis. Eppure passano pochi minuti e per i due o trecento che ancora si accalcano sotto il palco, ritardatari, oziosi, chiacchieroni e bighelloni, parte di nuovo la base di Rehab, Ketama al microfono, questa volta G Ferrari con la sua chioma bionda lascia la consolle e si butta a pogare in mezzo al pubblico rimasto, che non crede ai suoi occhi e orecchie, luci accese e tutti abbracciati, pubblico, producer e rapper, a ballare e cantare insieme.
Kety è ancora per poco nel club, mentre la notte romana torna nell'accidioso silenzio estivo, non resta che una birra e due chiacchiere al San Calisto, come tutte le altri notti. Con una potente certezza in più: che il simbolico passaggio del testimone tra gli anni Novanta e Zero di LouX e Noyz Narcos e gli anni Dieci di Speranza e Ketama126 sia definitivamente avvenuto. Sentiremo parlare a lungo di loro. Rimarremo nelle strade, tra bar, piazze e muretti, in provincia, come in città.
In alto le nostre posse, presenti, passate e future!
Articolo del
24/07/2019 -
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