Preceduto dalle note di “Eye Of the Tiger”, celebre brano tratto dalla colonna sonora di Rocky IV, Ted Horowitz, nativo del Bronx, New York City, si fa strada verso il palco dove in un attimo solo diventa Popa Chubby, the Beast from the East!!! Erano quindici anni che non suonava a Roma ed era arrivato il momento di colmare questa lacuna. Un pubblico non numeroso, ma molto caldo e affezionato, lo accoglie con il dovuto entusiasmo e lui li ripaga subito alla grande con una entusiasmante e lunga versione di “Hey Joe”, un classico di Jimi Hendrix, intervallata dalle note di “Star Spangled Banner”, l’inno americano.
Dalla chitarra di Popa fuoriescono delle note infernali, una mescolanza ben riuscita di heavy blues e di hard rock dei primi anni Settanta. Non è infatti un caso se lui stesso ha definito la sua musica come “Gli Stooges che incontrano Buddy Guy, i Motorhead che incontrano Muddy Waters e Jimi Hendrix che incontra Robert Johnson”.
Popa Chubby ha compiuto 59 anni e con questo tour, festeggia i trenta anni di carriera artistica, costellata da tanti premi, riconoscimenti e da una quantità infinita di album da ricordare. Ma lui non è cambiato per niente: la sua figura - minacciosa e possente - in realtà nasconde una persona dal cuore grande, sempre pronto a lottare per le giuste cause, contro la guerra e in difesa degli oppressi. La chitarra è allacciata al corpo da una cinta poderosa sulla quale campeggia un gigantesco dito medio, simbolo di quel “Go Fuck Yourself”, un brano del primo periodo eseguito dal vivo questa sera e contenuto anche su Prime Cuts, un album doppio, una raccolta di successi pubblicata sul finire dello scorso anno.
Figlio di un negoziante di caramelle di un quartiere povero di New Yoork, Popa Chubby ha imparato a suonare la batteria a soli tredici anni e poco dopo si è specializzato sulla chitarra, seguendo l’esempio dei suoi idoli : Jimi Hendrix ed Eric Clapton. A venti anni Popa era già uno dei chitarristi più apprezzati in circolazione, ha conosciuto un periodo punk con Richard Hell dei <>Voidoids, ma poi è tornato al suo vecchio amore il blues, e lo arricchito di ritmo e di una potenza sonora devastante.
Ascoltiamo in rapida successione “Angel On My Shoulder”, “Whole Lotta Trouble” e “Chubby’s Boogie”: ho parcheggiato l’auto praticamente in mezzo alla strada, facendo finta di seguire il percorso delle radici di un albero, sono a rischio rimozione, ma chi se ne frega, quei riff indemoniati e velocissimi, ti cacciano via tutti i cattivi pensieri dalla testa. Non si riesce a stare fermi, anche perché un assolo di Popa - per quanto impeccabile - non è mai fine a se stesso, tiene sempre conto della base ritmica del brano, che viene alimentata in continuazione, con piatti caldi piccanti e birra ghiacciata!
Molto belle anche le esecuzioni del tema da “Il Padrino” e di un classico di Harold Arlen come “Over The Rainbow”, inframezzato da fraseggi chitarristici a dir poco spaziali ed eseguiti ad una velocità imbarazzante. Il concerto si conclude con una jam session con i Superdownhome, il gruppo che aveva aperto la serata, in un diluvio di suoni elettrici e svisate di chitarra, per la frenesia e la gioia di tutto il Popolo del Blues qui convenuto, sfidando allagamenti stradali e la pioggia. Ah, l’auto era ancora lì, evidentemente i vigili hanno gradito il prolungamento ideale di carreggiata da me stesso ideato: “Go Fuck Yourself” everybody!!!
(foto di Viviana Di Leo)
Articolo del
13/11/2019 -
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