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In questa storia (che è la mia) è il titolo dell’ultimo disco di Claudio Baglioni, uscito il 4 dicembre dello scorso anno e diventato adesso un’Opera/Spettacolo prodotta da Friends & Partners e Fenix Entertainment S.p.A., e realizzata all’interno del Teatro dell’Opera, con una riuscita comunione di recitazione, danza, gesto, giochi di luci e suoni, “quadri” animati da performer, e nella quale grande orchestra, coro lirico, coristi e band diventano co-protagonisti della narrazione, coinvolgendo fino a 188 tra musicisti, coristi, danzatori e performer.
Il lavoro, “uno spettacolo eccezionale per tempi eccezionali”, realizzato con la direzione artistica del coreografo Giuliano Peparini e con la regia televisiva di Luigi Antonini, sarà trasmesso in streaming dal prossimo 2 giugno ore 21, sulla piattaforma ITsART e resterà disponibile a pagamento, ma in misura illimitata per l’acquirente, per i prossimi 6 mesi. L’opera è stata presentata in anteprima per la stampa al Cinema Adriano di Piazza Cavour a Roma, alla presenza di una cinquantina di autorevoli testate del panorama nazionale, tra le quali Extra Music Magazine! non poteva certo mancare.
Aperta da una parte recitata dal sempre convincente Pierfrancesco Favino e da un preludio danzato affidato all’étoile Eleonora Abbagnato, l’opera si sviluppa assecondando la sequenza dei brani del disco, che finisce col raccontare una storia d’amore ma anche di vita. Non mancano, infatti, i riferimenti autobiografici del Baglioni più giovane, alle prese con le prime lezioni di piano e le prime audizioni. Diciamo subito che a fronte di un disco ben fatto, curato musicalmente nei minimi particolari, in cui forse il marchio ‘baglioniano’ emerge a tratti in maniera un po’ troppo autoreferenziale (Io non sono lì ricorda i “mille giorni” dei tempi di Oltre, pur senza averne la carica struggente anche biografica, così come Mal d’amore ricorda Domani mai, e Reo Confesso potrebbe essere una Via dei tempi nostri) ma con diversi episodi davvero intensi e ispirati (su tutti Gli anni più belli, già nell’omonimo film di Muccino dello scorso anno, una Come ti dirò che suona come una suadente ‘romanza’, o la conclusiva epica Dodici Note ), la versione ‘coreografata’ da Peparini e messa in scena al Teatro dell’Opera, acquista uno spessore decisamente più emozionante, a dimostrazione che in questo momento della sua carriera non è sbagliato pensare ad un Baglioni che cerchi nella traduzione visiva delle sue canzoni, uno sbocco ed un’ispirazione quasi naturali.
L’idea efficacissima di sfruttare qualsiasi spazio del Teatro dell’Opera, senza limitarsi al solo palco o alla sala principale, ma permeando di creatività ogni anfratto (retropalco, palchi, golfo mistico, platea, foyer, camerini e corridoi), fa sì che la narrazione viva di continui sussulti grazie all’uso di soluzioni illuminotecniche che non si vedono tipicamente negli allestimenti dei teatri di tradizione all’italiana, alle scelte coreografiche mai scontate, al sapiente e inventivo alternarsi di visioni d’insieme, primi piani stretti di performer chiamati a interpretare al di la del gesto tecnico (così come in conferenza stampa ha rivelato lo stesso Peparini), e ovviamente i dettagli su musicisti e cantanti, in primis chiaramente un inossidabile Claudio Baglioni che, a dispetto dei suoi appena compiuti 70 anni, continua a cantare con un’intensità e una resa emozionale sempre notevolissime.
C’è una domanda che per motivi di tempo non ci è stato possibile fare a Claudio Baglioni, e riguarda il suo nuovo lavoro ma anche una chiave di lettura di tanti suoi racconti più recenti. Dopo Strada Facendo e Noi No (ma volendo anche Assieme e Ancora Assieme) e soprattutto fino al più recente festival O Scia’, tenutosi a Lampedusa tra il 2003 e il 2012, da un certo punto in poi è prevalso un altro punto di vista: Io sono qui, Sono io l’uomo della storia accanto, Da me a te, passando per Incanto, concerto per solo voce e piano, la doverosa celebrazione dei 50 anni della sua carriera, fino appunto a In questa storia (che è la mia) l’ultimo titolo. Ovvero l’impressione che si sia persa l’idea di comunità, di intenzione ‘sociale’ (in senso lato, e per quanto Baglioni sia sempre stato distinto, magari un po’ forzatamente, dai cosiddetti cantautori impegnati soprattutto negli anni 70). L’idea ‘romantica’ di volersi raccontare, di voler mettere il proprio sguardo magari disilluso, disincantato o ancora carico di speranza e coraggio, in un racconto che rappresenti il desiderio legittimo di riaffermare un proprio ‘io’ (r)esistente, ha finito col prevalere sullo slancio d‘insieme’ che da una piazza del Popolo, o Tien an men, trovava comunque rifugio e speranza in un ‘noi’ più ampio, anche nei dischi più intimisti del nostro.
Ne resta un piccolo frammento anche in questo lavoro nel brano, In un mondo nuovo, tra l’altro con una coreografia e una resa scenica molto belle, ma troppo poco, anche perché la conclusione anche in questo pezzo sembra essere sempre ‘in lei’, un rifugio e una salvezza privata, in qualche modo. In questa storia resta però uno spettacolo di alto livello emotivo e professionale, l’ennesima prova d’autore di un artista che non rinuncia a cercare nuove sfide, perseguendo il suo desiderio indomabile di ‘artigiano’ della musica che sa attingere e cercare talenti da altre arti, oltre che dalla musica. Sinceramente non sappiamo se, come recita il titolo, questa sia la sua storia, probabilmente no, o forse ne ricalca più che altro gli aspetti emotivi e le sensazioni di uno sguardo ‘a ritroso’ che non le note biografiche, ma è una storia che coinvolge, emoziona e ti conquista. Non poco in questi tempi: essere emozionanti in tempi eccezionali.
Articolo del
31/05/2021 -
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