Extra! Music Magazine sostiene il progetto di crowdfinding “WISH YOU WERE HERE” ideato da THIS IS NOT A LOVE SONG e dedicato ai concerti che hanno fatto la storia della Musica, quei concerti ai quali tutti avremmo voluto assistere. 32 biglietti di 32 concerti epocali, che al loro interno racchiudono 32 manifesti esclusivi illustrati da 32 tra i migliori fumettisti italiani. Il tutto anche in sostegno di 10 live club, grazie a un crowdfunding attivo dal 24 maggio fino al 30 giugno su Produzioni dal Basso. Per aderire all’iniziativa potete saperne di più sul sito https://www.produzionidalbasso.com/project/wish-you-were-here/#Biglietti-manifesti
Quel 13 gennaio del 1979, per la prima volta in Italia, arrivò a Firenze il pullman con lo studio mobile Manor della Virgin partito da Londra perché le case discografiche nazionali non possedevano le attrezzature adeguate alla registrazione di un concerto. I costi erano alle stelle ma la Ricordi, dopo molte titubanze, aveva accettato la scommessa di unire la poesia di Fabrizio De André al rock della Pfm, la band che aveva avuto successo in America.
Da noi l’operazione di sposare due modi completamenti diversi di concepire ed eseguire le canzoni non l’aveva tentata nessun cantautore e il precedente di Bob Dylan e i Byrd in America non era incoraggiante. In ogni caso bisognava convincere la Ricordi a metter mano alla borsa: i costi dello studio Manor erano parametrati sui modelli di vendita inglesi e c’era il pericolo che le vendite del live non coprissero i costi dell’operazione. Fabrizio aveva appena pubblicato Rimini, un lavoro diverso dai precedenti perché condito da un po’ di blues e qualche spruzzata di rock. I musicisti della Premiata si presentavano in veste di arrangiatori ed esecutori a supporto del cantautore che, nonostante avesse alle spalle diversi dischi monotematici e importanti, era solo al suo secondo giro di concerti dal vivo dopo quello di esordio del 1975, decisivo per il rapporto col pubblico ma di puro accompagnamento sul piano musicale.
Qui era tutto diverso e per questo anche le due parti protagoniste sul palco si guardavano con sospetto. Fabrizio De André era considerato un poeta e troppi dimenticavano che era anche un musicista e aveva iniziato suonando jazz in un sestetto in cui ogni tanto si univa Luigi Tenco. Nutriva un’irrefrenabile curiosità per ogni stile musicale: non è stato un caso se qualche anno dopo, nel 1984, ha spiazzato tutti con Creuza de ma. Ma ora suonare con la band di “Celebration” e “Impressioni di settembre” gli creava qualche dubbio: “Mi sento di fare la figura dei cavoli a merenda. Ma il rischio ha sempre il suo fascino”, disse e quindi accettò la sfida a patto che il volume del suono non mettesse in ombra la sua voce.
La Pfm aveva conosciuto Fabrizio molti anni prima per la registrazione della “Buona Novella”: i componenti del gruppo erano i cosiddetti turnisti, cioè strumentisti a disposizione delle case discografiche. Ma dopo la registrazione della “Buona novella” le strade si erano separate. Fabrizio aveva composto altri dischi e aveva collaborato con De Gregori e con Bubola. La Pfm aveva girato l’America assimilando nuove energie e una musicalità densa di rock, jazz, prog. “Anche per noi era un rischio”, ricorda Franz Di Cioccio, temevamo che suonare con un cantautore sarebbe stato un problema. Poi ci accorgemmo che Faber era un vero musicista, usava la voce come uno strumento ed era magico con la chitarra”.
L’idea di dare un vestito nuovo a canzoni storiche come potevano essere “Marinella” o “La guerra di Piero” venne durante una cena nella casa di Fabrizio in Sardegna in un trionfo di funghi e di vino rosso. I pubblici di Pfm e di De André erano diversi e l’azzardo era che una delle due fazioni non accettasse la novità. Gli arrangiamenti, però, furono così rispettosi che le vecchie canzoni diventarono più interessanti, assumendo colori nuovi che poi sarebbero rimasti quasi intatti anche nelle successive tournée di Faber.
Si iniziava con la “Canzone di Marinella” in un’atmosfera data dalle tastiere, arpeggi, i piatti che si aggiungevano poco alla volta, un’introduzione di un minuto durante il quale nessuno riusciva a riconoscere il celebre brano portato al successo da Mina. Il mistero si svelava solo quando Fabrizio attaccava la strofa: “Questa di” … e prima che pronunciasse il nome di Marinella, arrivava il boato dei due pubblici che finalmente interagivano. La registrazione nel Teatro Tenda di Firenze fu casuale ma risultò anche una fortuna. Casuale perché inizialmente il concerto avrebbe dovuto essere registrato al Palalido di Milano; non fu possibile perché alcune date furono rinviate per un raffreddore di Faber.
Scartata l’idea di registrare a Milano, si scelse il tendone di Firenze – ecco la fortuna - dove il suono risultò più caldo rispetto a quello dei palasport che, secondo molti fonici, non suonano ma risuonano. Erano tempi di contestazione feroce ma a Firenze andò tutto bene, la battaglia ci sarebbe stata dopo a Roma e a Napoli; diciamo che quella volta a Firenze Faber non ebbe bisogno di cambiare il testo di “Amico fragile” come fece a Roma: “E poi seduto in mezzo ai vostri… vaffanculo”.
Sul palco la presentazione dei musicisti che nei tour ha sempre fatto Faber, era stata affidata al pirotecnico batterista Franz Di Cioccio; “Noi siamo una banda formata da…” non faceva in tempo a finire la frase e Fabrizio aggiungeva: “Mescaleros”… Sì, davvero una tribù indiana composta da Flavio Premoli alle tastiere, alla fisarmonica, (straordinario nel funambolismo de Il giudice), Franco Mussida, chitarre elettriche e acustiche a sei e dodici corde, Patrick Djivas al basso elettrico e acustico, Di Cioccio alla batteria e percussioni. Era la Pfm ormai privata dalla fine del tour in America di Mauro Pagani ma con l’aggiunta di due ospiti: Roberto Colombo (piano Fender, Polymoog) e Lucio Fabbri (violino e chitarra dodici corde), il quale aveva mollato Roberto Vecchioni prima che questi finisse la sua tournée per accettare la proposta venutagli dall’impresario della Pfm, Franco Mamone.
Ad aprire il concerto, con molto coraggio in un’epoca in cui gli apripista venivano bersagliati da bottiglie e quant’altro, David Riondino che, per prudenza, si affacciava sul palco spacciandosi da presentatore. Erano canzoni nuove con i commenti della chitarra in sedicesimi di Mussida, il crescendo orchestrale della parte non cantata. Da segnalare almeno due canzoni per l’importanza dei nuovi arrangiamenti: “Amico fragile” e “Il testamento di Tito”. Nella prima che, come sappiamo, è un pezzo autobiografico, Fabrizio canta la seconda strofa un’ottava sopra rispetto alla versione originaria e va in alto come mai era capitato. Il risultato è un’interpretazione intensa di un pezzo che pochi musicisti si sentono di affrontare; resta emblematico quanto accadde al concerto tributo del Carlo Felice di Genova del 2000. C’era il meglio della musica italiana a interpretare il canzoniere deandreiano e a Vasco Rossi toccò “Amico fragile”. La difficoltà venne nello scegliere il chitarrista da affiancare a Vasco, non per le difficoltà tecniche del brano, basato sostanzialmente su due accordi, ma per la dinamica. Un conto è suonare bene la chitarra e sembrare Segovia ma magari non riuscire a imprimere quella tensione che metteva Fabrizio. In “Amico fragile” sono i bassi della chitarra che accentano le terzine e che devono arrivare al batterista che in questo caso segue la musica e non detta il tempo agli altri. Morale della favola, nel tributo a Genova del 2000, a suonare la chitarra accanto a Vasco fu Mark Harris, genio delle tastiere ma non un chitarrista. L’altro brano del tour Pfm da ricordare è il “Testamento di Tito”, uno dei manifesti della poetica di Faber che, pur considerandola una delle sue migliori composizioni, nei successivi tour degli anni Ottanta non l’avrebbe eseguita perché – secondo lui - non riusciva a far suonare tutto il gruppo come avrebbe voluto. Una quadratura che avrebbe trovato a partire dal tour delle Nuvole.
“Il Testamento di Tito” era stato legato dalla Pfm a un altro pezzo tratto dalla Buona Novella, Maria nella bottega del falegname. Con Mussida e Di Cioccio, Djivas e Premoli la qualità melodica e ritmica non si discutono. Da segnalare anche la performance di Franco Mussida che in quindici giorni ha imparato a cantare in dialetto gallurese “Zirichiltaggia”. Le canzoni che appaiono sul disco furono registrate tutte a Firenze perché le tracce ricavate dal successivo concerto di Bologna, pur citato nell’album, non vennero utilizzate. Sul palco e in tour c’era un clima goliardico, sintetizzato anche da quel grido di Di Cioccio: “Branca, branca, branca” a cui il pubblico rispondeva “Leon, leon, leon” per introdurre “Volta la carta”. Il tour fu breve, una trentina di date in tutto. L’album restò in classifica per settantasette settimane e alla fine, sommando anche il secondo volume, furono vendute ottocentomila copie. La scommessa messa in piedi da Franco Mamone per Pfm e da Lucio Salvini per De André era vinta. Nel ricordo di Pfm che ho incontrato all’Arena di Verona il 29 luglio di due anni fa in occasione nel tributo fatto assieme a Cristiano De André per i 40 anni dello storico tour, quella tournée fu per tutto il gruppo che pure ne ha fatte tante, una delle più belle in assoluto, una boccata d’aria nuova.
Ma perché Fabrizio e Pfm non hanno poi proseguito la collaborazione che aveva aperto enormi canali a tutte e due le parti? Finito il tour del 1979 l’idea era di fare un disco insieme in studio. Si ritrovarono prima del Natale del 1980 a Bologna in una serata per i terremotati dell’Irpinia e rinnovarono l’intenzione di collaborare a un progetto nuovo ma Faber era preso da mille cose. Passò un altro anno e in una cena stavolta nella casa di Milano Fabrizio comunicò: “Ho registrato i suoni della caccia al cinghiale, forse li userò per una canzone che ho in testa”. Le strade si erano divise come accade nella vita e quella manciata di concerti era entrata nella storia della musica. De André proseguirà col suo trittico dedicato a terra (L’Indiano), mare (Creuza) e cielo (Nuvole) con i relativi tour, accompagnata sempre da musicisti di primo piano.
La Pfm, ricordando il sogno americano interrotto perché il business dello spettacolo statunitense li ritenne sostenitori dell’Olp per la liberazione della Palestina, (in realtà avevano solo preso parte a una manifestazione di solidarietà che si era svolta a Roma), continuerà con il suo impatto sonoro presentandosi con un doppio batterista. Con “Celebration” sempre in viaggio sulla Carrozza di Hans ma ricordando ogni 18 febbraio il compleanno di “quello che sta lì seduto in mezzo a noi, batte il tempo con la gamba. Suona la chitarra e scrive i testi”
Articolo del
05/06/2021 -
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