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Era il 2 Febbraio 1972 quando su una vecchia Fiat 124 guidata da un amico (quello meno esperto in cose di musica, ma l’unico ad avere la patente) raggiungevo il Pala Sport dell’EUR a Roma per il concerto dei Jethro Tull, resi celebri dal successo di “Aqualung” e freschi di un “concept album” come “Thick As A Brick”, appena pubblicato. Fu un concerto semplicemente esplosivo, che sprigionava energia ad ogni canzone, con Ian Anderson che si agitava come un ossesso sul palco e che si era presentato in scena con le pinne di un sub ai piedi! La chitarra di Martin Barre creava mirabilie ad ogni assolo ed era supportata come si conviene da John Evan, tastiere, Jeffrey Hammond, basso, e Barriemore Barlow, batteria.
Ebbene, sono passati esattamente 50 anni da allora e io mi muovo ancora nella stessa direzione, verso un luogo diverso, ma finalmente pronto ad accogliere i nuovi Jethro Tull, dopo tanti rinvii a causa della pandemia. Negli anni Novanta i Jethro Tull avevano attraversato un periodo di declino, gli spettacoli dal vivo erano fiacchi e i dischi poco convincenti. Ian Anderson aveva allora decretato per sé e per gli altri un silenzio, anche discografico, interrotto solo di recente dalla pubblicazione di “The Zealot Gene”, un disco fantastico, partorito dopo quattro anni di duro lavoro in sala di incisione, un altro “concept album” che ha già raggiunto la vetta delle classifiche inglesi.
Ed è quasi con la stessa “line up” che ha registrato il disco (manca solo Florian Ophale, il chitarrista) che Ian Anderson, 74 anni compiuti, si presenta questa sera all’Auditorium di Via della Conciliazione per il suo “The Prog Years Tour”. Troviamo infatti al suo fianco sul palco David Goodier, al basso, John O’Hara, alle tastiere, Scott Hammond, alla batteria e il giovane ma talentuoso Joe Parrish, alla chitarra elettrica. Non c’è traccia del nuovo disco però in scaletta: solo la “title track” che verrà eseguita nella seconda parte dello show. Il concerto è dedicato agli “anni del Prog” e raccoglie alcuni dei brani più significativi della carriera artistica e musicale della band, da “Nothing Is Easy”, con cui inizia lo spettacolo, a “Bourèe”, “Living In The Past”, “My God” e “Aqualung”. Ian Anderson si conferma l’istrione di sempre, saltella ancora sul palco, suona il flauto su una gamba sola, si contorce e finge blocchi artritici e colpi di tosse secca, con l’autoironia tipica di chi vuol far credere agli altri di essere vecchio, ma non lo è.
Sul piano vocale Ian è migliorato rispetto a qualche anno fa, anche se a volte, come ad esempio su “My God”, gli acuti non sono più gli stessi. Brilla sul palco, alla chitarra e occasionalmente anche alla voce, la stella del giovane Joe Parrish, ventisette anni, uno che potrebbe tranquillamente essere suo nipote. Sul piano musicale siamo di fronte ad un “set” di “heavy rock”, quanto mai energetico e vibrante. Basti pensare alla nuova versione di “Aqualung”, preceduta da una lunga “intro” solo strumentale, La parte vocale del brano è totalmente stravolta: viene quasi gridata al cielo, mentre sullo sfondo scorrono le immagini dei tanti nuovi “aqualung” che troviamo ancora adesso lungo i marciapiedi o vicino le stazioni ferroviarie delle grandi città. Ian Anderson è rimasto sempre lo stesso, un menestrello anti militarista e ribelle, e uno dei momenti più alti dello show è rappresentato dalla riproposta della parte iniziale della “suite” di “Thick As A Brick”, con quel suo impianto musicale a metà strada fra il classico, il folk e un gusto medievaleggiante.
Molto belle anche le esecuzioni di “Bourèe”, tratta da una composizione di J.S. Bach e di “Pavane”, tratta da un’idea musicale Gabriel Faurè, adeguatamente sottoposta ad trattamento “prog”. Momenti di musica colta che coesistono con episodi rock come “Black Sunday”, “Hunt By Numbers” e "Songs From The Wood": quest’ultima è accompagnata da un video che lo ritrae negli anni Settanta mentre canta la medesima traccia. Il finale prevede una gloriosa, trascinante versione di “Locomotive Breath”, che viene accompagnata a tempo dal pubblico presente in sala, e la riproposta di "The Dambusters March", nuova versione del tema principale de 'I Guastatori di Dighe" un film del 1955, diretto da Michael Anderson. Una serata di grande sollievo e soddisfazione: anche se in una nuova veste, i Jethro Tull ci sono ancora e.. the Locomotive is still breathing!
SET LIST
Prima Parte
Nothing Is Easy Love Story Thick as a Brick (excerpt) Living in the Past Hunt by Numbers Bourée in E minor (Johann Sebastian Bach cover) Black Sunday My God
Seconda Parte
Clasp Wicked Windows The Zealot Gene Pavane in F-Sharp Minor (Gabriel Fauré cover) Songs From the Wood Aqualung
Encore:
Locomotive Breath The Dambusters March (Eric Coates cover)
Articolo del
14/02/2022 -
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