Il Defrost Tour degli Aristocrats ha rappresentato la rinascita del trio più prog/fusion che c’è dopo un periodo di ibernazione forzata. Nel corso di un anno, ha abbracciato praticamente ogni angolo del mondo, facendo riemergere la band in superficie, come un supereroe pronto a scrivere un nuovo, entusiasmante capitolo della sua storia. La data conclusiva del tour ha avuto luogo in una gelida serata d’inverno, presso il CrossRoads Live Club di Roma e ha fatto bollire gli animi dei fan in fervente attesa da quattro anni. Quest'ultima tappa ha rappresentato l'apice di 120 concerti che hanno attraversato varie volte anche l'Italia, merito del calore dei numerosi supporter della penisola e del significativo contributo del team della band, composto in gran parte da italiani.
Mentre i nomi di Guthrie Govan, Marco Minnemann e Bryan Beller (questi sono gli Aristocrats) potrebbero non essere immediatamente riconoscibili per i “non addetti ai lavori”, le loro collaborazioni e la loro fama precedono qualsiasi presentazione. Guthrie Govan, spesso citato tra i migliori chitarristi del mondo, ha condiviso il palco con luminari del calibro di Steven Wilson e Joe Satriani (con quest'ultimo anche al fianco di Minnemann e Beller); Bryan Beller, con il suo incredibile talento al basso, ha contribuito alle produzioni di Steve Vai e James LaBrie.
La band internazionale ci ha intrattenuti con circa due ore di performance, catapultandoci in un magico mondo di bislaccherie e talento. Minnemann ha accompagnato i suoi incommensurabili virtuosismi con il caratteristico repertorio di grugniti di pupazzi per cani, anche se questa volta senza Another Brick in the Wall (forse per questioni di copyright). Nel frattempo, Govan ha fatto la sua parte con i suoi tipici racconti da nerd (in senso affettuoso), sempre pieni zeppi di dinosauri che hanno preparato il terreno per l'epica Bad Asteroids. Riproposta anche The Ballad of Bonnie and Clyde, nata da una vicenda accaduta realmente nel 2016, quando Beller è stato vittima di un grave furto in cui tutta la sua attrezzatura è stata rubata (sfortunatamente mai più ritrovata).
Ciò che rende gli Aristocrats straordinari non è soltanto la maestria musicale, bensì anche l’abilità nel comporre lunghi brani, nel tipico stile fusion e prog, che sorprendentemente non risultano mai noiosi. Il brioso trio, come sempre, ha mantenuto viva l'attenzione attraverso complessità e varietà, una firma distintiva che affascina sempre in ogni show. All the good things come to an end, vero, ma non per molto, perché il prossimo febbraio la band si scongelerà nuovamente per presentare il quinto album in studio dal titolo Duck che verrà presentato dal vivo inizialmente negli States. E mentre leggo l’ultimo post di Bryan su Facebook in cui si vede con le valigie in aeroporto (oggi è già 4 dicembre … si torna a casa) auguro a tutti e tre (e alla crew) un buon riposo natalizio in attesa del nuovo inizio.
Articolo del
08/12/2023 -
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