Musica come trasformazione, arte come svelamento di identità e suoni, come la realtà che prende vita dal vivo destrutturando la scena stessa. Questo è quello che Föllakzoid porta sul palco del Monk, modellando un sound fatto di carne viva, di attimi che navigano tra visioni kraut rock, minimal techno e psichedelia.
Ad aprire la serata ci pensano i riverberi e le sfumature synth-etiche di Ekranoplan, bravo a costruire una colonna sonora che muove le sue onde soniche tra allucinazioni cosmiche e vibrazioni dall'animo oscuro.
Dominga Garcia Huidobro dà poi inizio a un rito collettivo e salvifico, immersi nel loop infinito dei suoni. Accende una sorta di candela cerimoniale, nel buio di una sala che si illuminerà pian piano di un blu simile a un quadro filmico di Derek Jarman. La sua sagoma filiforme si muove impazzita sul palco ammantata dai fumi di scena, mentre sorseggia del vino da un calice purificatorio che verso la fine del concerto verrà frantumato in mille pezzi, come il suono che s'infrange prepotentemente nelle orecchie dei presenti.
I bassi pompano senza fine, il sound volutamente reiterato diviene mantra uditivo, tra echi dissonanti e sciabolate di chitarra, tra oscurità e luce, restituendo una trance sonora contagiosa, mentre prende vita “Electric” e vengono passati in rassegna i brani dall'ultimo album “V”, uscito nel 2023 per la Sacred Bones, come “V-I” e “V-II”.
Dominga, nella splendida teatralità dei suoi gesti, nell'eleganza di un corpo che è trasfigurazione essenziale dell'essere, si mette a nudo, in maniera ideale quanto concreta, brano dopo brano, con forza catartica.
La musica oltre la musica diviene performance totale, metamorfosi del qui e ora, dell'essere interiore e sonoro. Un concerto che è un inno alla vita e alla libertà in tutte le sue forme. Estasi e amore guidati da una luna calante.
Articolo del
01/02/2024 -
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