(foto di Viviana Di Leo)
Il ritorno inatteso, il concerto che non ti aspetti, una serata da ricordare, tutto grazie a Patrick Denis Apps, in arte Patrick Wolf, compositore ed interprete inglese nato da madre irlandese, artista eclettico e di grande talento che dopo il successo di critica e anche commerciale degli esordi, si era letteralmente lasciato andare, diventando preda dei suoi turbamenti personali, di sofferenze sentimentali e anche di tanti piccoli guai economici.
Il successo di album come “Lycanthropy” del 2003 e come “The Wind In The Wire” del 2005 gli aveva aperto l’accesso a platee internazionali e la sua “folktronica” (una miscela indovinata di musica elettronica e delicate ballate tipiche del folk irlandese) lo aveva portato ad avere un grande seguito anche qui da noi. Ma di lui si erano letteralmente perse le tracce, almeno fino all’anno scorso, quando pubblicò “The Night Safari” un e.p. che doveva essere il preludio ad un nuovo album che però non è ancora completato. A sorpresa la decisione di partire comunque in tour, da solo, in treno, come venti anni fa, quando aveva 21 anni. Una chitarra acustica, la sua adorata viola, una valigia piena di “electronics” (solo una parte intendiamoci della strumentazione in suo possesso) e l’assicurazione di trovare a sua disposizione, sul posto, un pianoforte classico.
La Chiesa Valdese di via IV Novembre sembra una “location” fatta apposta per accoglierlo: un luogo di culto non troppo grande, molto raccolto, con una illuminazione bassa e con un pubblico tutto per lui che ne occupava tutti i posti disponibili. Patrick Wolf è vestito in modo molto colorato ed estremamente vistoso (si disegna da solo gli abiti che indossa) e recita versi in latino mentre si dirigere verso l’altare sconsacrato che adesso diventa il suo palco. Ad attenderlo, poggiata sul microfono, una corona molto simile ad un’aureola sacra, oggetto che indossa poco dopo a simboleggiare l’inizio del suo “The Crown Of Stars” tour. Figura carismatica, di grande presenza scenica, si cala perfettamente nel ruolo di un aedo moderno, grazie anche alla sua naturale predisposizione verso l’estetica neoclassica. Forse non tutti sanno che Patrick Apps ha deciso di farsi chiamare Wolf da adolescente, quando veniva bullizzato dai suoi compagni di scuola per i suoi atteggiamenti non proprio mascolini.
Wolf/Lupo, come reazione nei confronti di un mondo arrogante e violento, che non lo capiva, che lo costringeva a farsi cattivo. Fortunatamente Patrick ha trovato ben presto un rifugio nella sua arte, nella musica, che è la sua medicina, che risolve conflitti interiori e debolezze, che gli permette di creare, di trasformare il mondo a suo piacimento. Patrick Wolf ha cominciato a suonare a 14 anni e si è affermato pubblicamente a 19 anni, grazie ad un talento vocale unico e straordinario, che ha messo a disposizione di quanti volessero ascoltarlo anche questa sera, un incontro veramente speciale che ha unito pubblico e artista come fossero una cosa sola. Canzoni come “Augustine”, “House“, “To The Lighthouse”, “London”, “Paris”, “Teignmouth” e la bellissima “The Wind In The Wire”, tratta dall’album omonimo del 2005, eseguite dal vivo, in una dimensione semi-acustica, assumono un sapore speciale, decisamente migliore rispetto a come le ricordavamo.
Forse perché meno ridondanti, meno enfatiche in confronto alle versioni originali in studio. Patrick possiede il dono di trasmettere una profondità emotiva negli spettatori, quasi come se si mettesse a nudo, con tutte le sue ambiguità, incertezze, i suoi lati oscuri e quelli decisamente più solari. Il concerto è un condensato di romanticismo e pop raffinato, un “live act” di pregio che sembra non finire mai: Patrick ritorna sulla scena più volte, esegue anche A Boy Like Me e The Magic Position”, il cui ritornello è cantato in coro da tutti i presenti. Un concerto che vale un momento di conforto, per lui - che si era ritirato in un paese vicino Londra dove regna il silenzio e tutto procede con tranquillità (eccezion fatta per la vita spericolata dei suoi gatti) - per noi - che eravamo lì ad ascoltarlo, quasi in estasi, ammaliati sia dalle sue canzoni che dalla sua voce.
Una timbrica che ricorda grandi artisti del passato come Scott Walker, Marc Almond e in parte anche Bowie, uno stile che è al tempo stesso molto intimo, confidenziale ed elegante.
Articolo del
18/04/2024 -
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