Erano ben diciassette anni che non suonava a Roma e ha scelto un posto incantevole per il suo ritorno. Le rovine maestose e silenti del Teatro Romano di Ostia Antica hanno accolto il “one man show” di Bill Callahan nel migliore dei modi: non fa troppo caldo e si sta bene fuori, all’aria aperta.
Unico inconveniente i continui voli in partenza e in arrivo all’aeroporto di Fiumicino, che fanno sorridere Bill, ma il rombo dei motori non lo infastidisce più di tanto. Una serata da non dimenticare in cui l’ex Smog (che dal 2007 ha deciso di presentarsi con il suo vero nome) ha presentato vecchi successi e i brani della sua carriera solista. Certo, dal punto di vista musicale, l’atmosfera non era quella di “Resuscitate!”, il disco “live” dell’anno scorso, in cui Bill era accompagnato da musicisti di grande spessore che hanno contribuito ai nuovi arrangiamenti delle vecchie canzoni.
Ma Callahan regge la scena benissimo, anche da solo. Serio, rigoroso, ma senza essere formale, all’interno di un “live act” per chitarra elettrica e voce, Bill Callahan ci ha riportato all’essenza del “lo fi” grazie alle sue composizioni minimali, costruite intorno ad armonie semplici e ad un tessuto lirico profondo e toccante. Paesaggi sonori costruiti intorno ad uno spiccato simbolismo, che serve per raccontare una realtà troppo brutta per essere detta a chiare lettere. Una dimensione onirica all’interno della quale trovano libero sfogo speranze ed illusioni, un approccio poetico, sempre misurato, che mira all’essenziale, che coglie le emozioni vere e che non prova vergogna nell’essere minoranza.
Una “scaletta” ben ponderata, che non vuole sorprendere, ma solo raccontare storie, dare voce ad una umanità perduta e spesso affranta. Il tono baritonale della voce di Bill è un elemento che è sempre in grado di fare la differenza: riesce a far passare delle vere tragedie esistenziali come racconti musicali, è in grado sostenere con morbidezza e calore delle tensioni nervose altrimenti drammatiche, che potrebbero rivelarsi dannose.
Abbiamo a che fare quindi con canzoni che hanno una valenza liberatoria, una funzione catartica? Siamo di fronte ad una musicalità terapeutica? Proprio così, perché il folk basico ed essenziale di Bill Callahan non solo attinge alle pagine del grande “american songbook”, ma realizza una sorta di antidoto contro i mali della società moderna, diventa una medicina per l’anima, un unguento per una sensorialità malata. Il timbro, la melodia e il ritmo avvolgente, ma pacato, di canzoni come “Riding For The Feeling”, “Eid Ma Clack Shaw”, “River Guard” e “Coyotes” hanno l’indubbia capacità di trasformare una “notte oscura in una mattina di sole”.
Questo il suo dono, questo il motivo per cui Bill Callahan è diventato - con il passare del tempo - un “artista di culto” ed è stato recentemente paragonato a Leonard Cohen, a Bob Dylan oppure all’ultimo Lou Reed
SETLIST
Jim Cain Eid Ma Clack Shaw 747 Cold Blooded Old Times (Smog song) Riding For The Feeling Sycamore River Guard Coyotes Teenage Spaceship (Smog song) Cowboy Partition Natural Information Say Valley Maker (Smog song) The Well (Smog song) In the Pines (traditional)
Encore:
Too Many Birds
Articolo del
15/07/2025 -
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