C'è un fil rouge che collega i miei precedenti articoli a questo qui. Come sapranno tutti quelli che mi onorano della loro attenzione leggendomi, sono fresco di Targhe Tenco, il riconoscimento per eccellenza della musica d'autore in Italia.
Un riconoscimento che, nonostante mille e passa critiche, negli ultimi anni si è aperto a tante "varianti" del cantautorato canonico, quello chitarra e voce. Penso al 2012, quando vinsero gli Afterhours col loro rock alternativo.
E penso al 2014, quando vinse un ricciolone pugliese che faceva rap. Probabilmente Caparezza, con "Museica" e la vittoria al Tenco, ha definitivamente squarciato il velo di Maya che separava la canzone d'autore da certo rap: se ne può discutere fino a domani mattina, ma in certi casi rap e cantautorato sono, per potenza letteraria nei testi e tematiche, due facce della stessa medaglia.
E chi si ostina a dire il contrario o è rimasto terribilmente indietro o non capisce un tubo. E Caparezza, Murubutu, Rancore, Willie Peyote sono alfieri di questo nuovo cantautorato, che non sarà quello precedente, ma che sicuramente sarà bello in modo diverso da quello precedente.
Proprio diWillie Peyote è uscito il nuovo lavoro discografico, che si intitola "Iodegradabile". È un album che, almeno al momento, è sicuramente il più completo, sotto tutti i punti di vista, del "nichiartista" torinese ("nichiartista" è nichilista + artista), e ne conferma la grande versatilità artistica e letteraria.
Musicalmente si sentono i trascorsi "strumentali" del nostro, ex batterista e bassista. Ed infatti la sezione ritmica fa un lavoro semplicemente enorme, fra linee di basso ipnotiche e funkeggianti e martellanti batterie poliritmiche. A tutto questo si aggiungono spruzzate di elettronica e languide chitarre in reverb, più presenti rispetto ai riff distorti che pure compaiono in alcuni pezzi.
Le atmosfere dei pezzi in modo minore, che sono anche quelli con i testi più caustici, riportano alla mente il clima di disagio da banlieue parigina di metà anni '90, quello raccontato da Kassovitz ne "L'Odio" per capirci, in una quadratura del cerchio iniziata già con la riscrittura de "Il Bombarolo", che, nella su versione di Willie, di quelle atmosfere era imbevuta.
Insomma, siamo lontani dall'hardcore di "Educazione Sabauda" ma le nuove frontiere musicali di Willie non dispiacciono per nulla, fra echi di Subsonica e Stromae. Dal punto di vista dei testi non credo ci sia molto da dire: siamo di fronte ad una delle migliori penne della musica italiana. Disilluso, ironico, impegnato, diretto, volgare quando serve. I testi dell'album sono uno sguardo cinico e spietato sul nostro tempo. Si va dai pezzi più politici ("Mostro") a quelli più sociali, tipo "Mango", passando per l'aspetto più sentimentalmente carnale di "Semaforo" e la degradabilità dei rapporti liquidi in "Catalogo".
L'unica pecca (se proprio la vogliamo chiamare così) è proprio quella di essere troppo contemporaneo. Mi spiego: corre il rischio di essere "scaduto" fra qualche anno, magari solo nei pezzi più politici. Un po' quello che successe a De André con "Coda di Lupo", che non è rimasto un pezzo "universale" proprio perché ancorato ad un preciso momento storico.
La soluzione (o, piuttosto, l'assoluzione) a questa pecca è comunque facilmente reperibile capovolgendo il discorso: sei, fra qualche anno, si vorrà comprendere bene un passato abbastanza prossimo, basterà riascoltare "Iodegradabile" per farsene un'idea.
In conclusione, come già detto, è un album che consacra il rap al livello del cantautorato, fa sì che ne prenda direttamente il testimone, almeno dal punto di vista della funzione sociale, quella cioè di canzone civile, impegnata, portatrice di disagio e di riflessione. Ed è un album che, proprio per la sua lucidità di racconto, risulta necessario, una (incazzata e potente) manna dal cielo.
Voto all'album: 9. Pezzo preferito: "Mango". Arrabbiato, scorretto e crudo. Che altro chiedere?
Articolo del
27/10/2019 -
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