Quarant’anni di carriera dalla nascita in Aylesbury su ispirazione tolkieniana, trenta dall’ingresso di Steve Hogarth alla voce solista. Per festeggiare, i Marillion si regalano un nuovo album di vecchi brani riarrangiati con le inserzioni di archi (il quartetto In Praise Of Folly), corno francese (Sam Morris) e flauto (Emma Halnan) – più uno splendido solo di sax in “This Strange Engine” di Phil Todd.
Nessuna orchestra corposamente intesa, dunque, sebbene il titolo With Friends From The Orchestra tragga ironicamente in inganno. In realtà il progetto ricava ispirazione dal tour del 2017, successivo all’uscita del precedente F.E.A.R. e culminato nello splendido live alla Royal Albert Hall (All One Tonight), in cui gli ospiti sopraccitati contribuivano a dare nuova veste al repertorio di Steve Rothery e soci.
Uscire dalla dimensione live per traslarla nell’atmosfera dello studio-album è stato quindi un passaggio probabilmente inevitabile, anche per fornire una continuità concettuale a un progetto di rivisitazione fortemente voluto dal produttore Michael Hunter, qui coinvolto nella tessitura e arrangiamento proprio delle nuove inserzioni orchestrali.
La band ha coraggiosamente stilato una scaletta di brani che più si adattassero alla contaminazione esterna, invece che assemblare un edulcorato greatest hits ammantato di una nuova veste. Ecco spiegato il ripescaggio di titoli come “A Collection” (da Holidays in Eden) e “The Hollow Man” (da Brave), insieme alle suites “Ocean Cloud” e la già citata “This Strange Engine”. E poi, ancora: “Seasons End”, “Estonia”, “The Sky Above The Rain”, “Beyond You”, “Fantastic Place”, per un totale di ottanta minuti fatati e malinconici, che abbelliscono senza nulla aggiungere al portato complessivo.
Intendiamoci. Siamo al cospetto di musicisti ormai assurti al rango di veri maestri, di riferimento generazionale e culturale. Tutto suona perfettamente, la qualità della registrazione è altissima, non c’è una nota fuori posto, l’intensità interpretativa è da brividi. De facto, però, nulla si aggiunge e nulla si sottrae. La sensazione finale è che piuttosto che far saltare il banco questo lavoro sia il parto della curiosità, del come sarebbe se. Ci sta, per l’amor del cielo.
Un completista della discografia dei Marillion lo acquisterà sicuramente, magari per risentire i brani maggiormente datati avvolti da una gabbana ben più calda e raffinata. Al neofita o semplice curioso non mi sentirei di consigliarlo in vece degli originali, trattandosi in fondo di elegante divertissement superbamente confezionato.
Particolarmente apprezzabile la scelta di non snaturare le composizioni (già articolate e frutto di un complesso lavoro di scrittura sin dalla fase iniziale), quanto semmai di lavorare sugli strati sonori, sull’integrazione del sound, arricchendo e addobbando in maniera discreta ma emozionale, commuovendo e incantando.
Steve Hogarth e sodali siglano così più che degnamente questo arco temporale di tre anni trascorsi sui palcoscenici di tutto il mondo, pronti a tuffarsi nel materiale grezzo, già inciso, che dovrebbe costituire l’ossatura di un nuovo album di inediti che vedrà la luce l’anno prossimo. Solo allora capiremo se questa orchestra of friends rappresenti il prodromo dell’ennesima svolta artistica di una band costantemente tesa a rinnovarsi. Nel frattempo, godiamoceli così, questi non più giovani folletti dell’art rock britannico, che in giro trovare di meglio è quantomeno utopistico
Articolo del
31/12/2019 -
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