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Sprints
All That is Over
2025
City Slang
di
Giancarlo De Chirico
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A distanza di appena un anno da “Letter to Self “, il loro “debut album”, gli Sprints tornano a farsi sentire con un disco ancora più clamoroso ed esaltante.
Il nuovo lavoro si intitola “All That Is Over” ed è sicuramente l’album di consacrazione per la band irlandese. Originari di Dublino, gli Sprints hanno messo da parte le singole dimensioni professionali per dedicarsi anima e corpo alla band e questo disco è la dimostrazione di quanto l’operazione sia riuscita. L’album è stato scritto “on the road” in soli quattro mesi e la produzione è stata affidata ancora una volta a Daniel Fox della Gilla Band. Karla Chubb, chitarrista e “vocalist”, ma anche principale “songwriter” della band, è stata presa dal demone della scrittura e ha scritto pezzi nuovi ogni giorno, sul “tour bus”, durante i “soundcheck” o la mattina in albergo.
Sono nate così canzoni ben strutturate e al tempo stesso incandescenti che rispondono a titoli come “Descartes” e “Better”, i primi due singoli tratti dal disco. Se l’album d’esordio entrava a pieno titolo nel filone “post punk” irlandese, insieme a Fontaines DC, Murder Capital e Gilla Band, questo secondo lavoro risulta senz’altro più articolato e complesso, in una parola più maturo. Il “garage punk” delle origini si è mescolato ad un “alternative rock” molto pesante, si è combinato a tentazioni “noise” evidenti e - in alcune occasioni - ha assunto dei contorni fortemente psichedelici. Non a caso i chitarristi del gruppo sono cresciuti ascoltando i My Bloody Valentine di “Loveless”, i Pixies e i primi due album degli Stooges.
La scrittura dell’album si è ispirata molto alle condizioni in cui viviamo nella società attuale, a tutto quell’elenco di atrocità che ascoltiamo ogni sera al telegiornale. Gli Sprints si scagliano con ferocia contro l’occupazione di Gaza, contro il massacro del popolo palestinese e allo stesso modo combattono le restrizioni imposte da Trump negli U.S.A. sul terreno dei diritti civili. Gli Sprints detestano i nazionalismi, la pratica dell’odio e la mancanza di libertà. C’è piaciuto molto il fuoco interiore che anima un pezzo minaccioso e ribelle come “Something Is Gonna Happen”, sostenuto come è da un substrato di chitarre elettriche strofinate a dovere; siamo stati piacevolmente travolti dal dinamismo tonante di pezzi come “Abandon”, “Need”, “Rage” e “Pieces”; allo stesso modo siamo rimasti favorevolmente impressionati dalla costruzione acustica di ballate psichedeliche come “To The Bones”, “ Better” e la bellissima “Desire”, canzoni destinate però ad un “crescendo” elettrico di proporzioni roboanti.
Insomma un album che si appresta a diventare un vero e proprio evento sul mercato discografico internazionale. Un disco che scotta, sia sotto il profilo strettamente musicale che sotto l’aspetto dei testi delle canzoni. Da ascoltare a volume alto.
Articolo del
07/10/2025 -
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