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«Inutile dire che Elliott Smith era un musicista incredibile e uno dei migliori autori di canzoni del nostro tempo. Sentiremo per molto tempo il vuoto lasciato dalla sua scomparsa» (Beck)
Una carriera folgorante. Cinque album da solista in vita. Due (tra cui un doppio di inediti ed outtakes) rilasciati postumi. Tutti capolavori. Non una canzone poco riuscita, non un brano incapace di toccare le più profonde corde del cuore. Il 21 ottobre 2003, è quello inquieto, triste ma gentile di Elliott Smith ad esalare l’ultima fiamma vitale, colpito da due mortali pugnalate. I motivi reali erano ignoti 14 anni fa quanto oggi.
All’inizio sembrò un suicidio e la polizia archivio così il caso, salvo riaprirlo (poco dopo) quando le modalità del decesso non sembrarono più così tanto limpide. Suicidio od omicidio con interessi economici alle spalle. Mito e leggenda che, per l’ennesima volta nella storia del rock, finiscono per intrecciarsi indissolubilmente per non trovare una conclusione valida. Sempreché ne valga davvero la pena trovarne una.
Quel che ci resta, come dicevamo in apertura, sono i dischi. La musica meravigliosa che il genio di Portland (anche se originario del Texas) partorì nei suoi pochi anni di carriera. Dalle indimenticabili e commoventi perle intimistiche lo-fi dei primi tre album (Roman Candle, Elliott Smith e Either/Ormajor (Xo e Figure 8), diretto seguito del successo inaspettato della colonna sonora del film Will Hunting che rischiò seriamente (se non fosse stato per il Titanic mangiatutto di James Cameron) di far vincere, a Smith, l’ambitissima statuetta dell’Academy per il brano “Miss Misery” (bello, ma che, per dovere di cronaca e critica, non è neanche tra i migliori del songwriterindie-rock, gli Heatmiser con i quali produsse (e per i quali scrisse un consistente numero di ottimi pezzi) tre album, più un ep, di ottima fattura. In particolar modo l’eccellente Mic City Sons che uscì quando già Elliott era nel pieno della sua nuova attività solista.
Il caso di From A Basement On The Hill è diverso, come sempre quando si ha a che fare con album postumi. Si tratta di un lavoro molto complesso che Smith iniziò un paio di anni dopo l’ultimo album per la Dreamworks (con cui era ormai ai ferri corti), e per il quale aveva tentato approcci musicali completamente differenti per cercare di raggiungere vette qualitative, se possibile, ancora più elevate. Per far ciò si fece costruire anche un suo studio personale (New Monkey Studios, un po’ come fece anche Hendrix, altro genio scomparso misteriosamente e prematuramente) producendo un gran numero di ottimi pezzi, tanto da aver pensato di pubblicare un album doppio. Ma la storia andò come andò e purtroppo l’album vide la luce, in una forma che non possiamo sapere quanto vicina alle intenzioni e alla forma originale (e a quanto pare ci sono differenze sostanziali), solo un anno dopo la scomparsa di Elliott.
Ma a quattordici anni di distanza, questi discorsi forse non hanno più tanta importanza. Abbiamo le canzoni, e possiamo goderne ancora in tutta la loro abbagliante bellezza. Anche se dobbiamo fare i conti con la tristezza di aver perso un uomo e un artista che avrebbe dato, senza scadere nel banale, ancora tanto alla musica e a tutti noi.
Per chi volesse approfondire la parabola artistica ed umana di Elliott Smith, in Italia è stato tradotto l’ottimo libro “Elliott Smith e il grande nulla” di Benjamin Nugent (Arcana, 2004), mentre sono reperibili solo in lingua originale altri due volumi molto interessanti come “Elliott Smith” curato dalla fotografa Autumn DeWilde ed il libricino della serie 33 1/3, scritto da Matthew Lemay ed incentrato completamente sull’album Xo.
Discografia:
Roman Candle (Domino, 1994) Elliott Smith (Domino, 1995) Either/Or (Domino, 1997) Xo (Dreamworks, 1998) Figure 8 (Dreamworks, 2000) From A Basement On The Hill (Domino, 2004) New Moon (Domino, 2007 contenente outtakes ed inediti del periodo tra il ’95 e il ’97) An Introduction to... Elliott Smith (Kill Rock Stars/Domino 2010)
Articolo del
27/02/2017 -
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