Sì, lo so. Non mi aspettavate così presto, avete ragione. In verità nemmeno io mi aspettavo di tornare così presto: avevo rimandato tutto a dopo il sei gennaio, fine delle ferie canoniche. Ero anche abbastanza convinto di non voler scrivere nulla (o quasi) su Sanremo , o magari parlare solo delle canzoni, giusto per garantire una personale parvenza di oggettività.
Poi ho riflettuto sul come l’oggettività spesso non esista, e quindi eccomi qua, a sparare a zero su cose che ancora nessuno di noi ha sentito. Ma tant’è, i bookmakers sanno già dire chi è il favorito. Basandosi su non so esattamente cosa. Ergo, un articolo sui partecipanti e su cosa, personalmente, mi aspetto da loro, non credo possa stonare più di tanto.
Chi, nella pratica, stonerà quasi sicuramente, invece, è Achille Lauro, dal quale, vista la svolta dance, in tutta confidenza, non mi aspetto grandi cose. Anzi, mi aspetto proprio un mezzo disastro. In realtà è lo stesso ragionamento che feci lo scorso anno, quando finii per ricredermi. Lauro non mi sembra affatto uno sprovveduto (anzi, credo la sappia più lunga di quanto immaginiamo), e quantomeno farà parlare di sé. Che già non è poco. Tiepida curiosità. Ah, quotato a nulla il fatto che verrà tacciato di fascismo per il titolo del brano ("Me ne frego"). Spero che rimanga la provocazione lanciata da uno che ha le palle abbastanza piene di un politicamente corretto a tratti ributtante, ma so che succederà. Fa ridere, ma anche riflettere.
Con Alberto Urso si entra nel magico mondo della musica di merda. Già esce da un talent, e partiamo male. Aggiungiamoci che è una brutta copia del Volo, vecchia, datata e, soprattutto, inutile. Non ce n’era davvero bisogno, di Voli ne abbiamo (purtroppo) già tre, e ci bastano ed avanzano. Stroncatura e votaccio sono dietro la porta come Jack Nicholson in Shining. Con un’accetta in mano.
Chi, invece, è uscito da un talent ma è decisamente di un altro pianeta rispetto ad Alberto Urso, è Anastasio, che in questi due anni ci ha abituato ad un livello altissimo, fatto di una capacità di scrittura enorme e di un pathos interpretativo da studiare nelle scuole di teatro. Se questi sono i presupposti, uscirà fuori roba interessante.
Ed arriviamo a chi sicuramente, causa simpatia, se non addirittura, tifo sfegatato, del sottoscritto, non vincerà. Parlo di Bugo e Morgan. Bugo… Bugo… “chi era costui?” Sicuramente non il cantante delle Vibrazioni (a proposito, caro/a collega, se mai mi dovessi leggere, sappi che ti voglio bene, come ad un fratellino più piccolo a cui si fanno scoprire le cose belle). Bugo, per chi non lo conoscesse (e già per questo meriterebbe di marcire nella sua ignoranza, ad ascoltare Sfera Ebbasta), è un po’ il papà del tanto amato indie. Ma, siccome l’indie come sappiamo, non è uno stile musicale, possiamo dire che fa rock alternativo, condito con testi taglienti ed affilati. Morgan è Morgan, c’è poco altro da dire. Sono già stati definiti come la quota imprevedibilità dell’Ariston. Che è una cosa che mi fa abbastanza sorridere: sembra che questi due debbano salire sul palco e fare il cazzo che gli pare, mettersi a cantare canzonacce di montagna e fare gare di rutti. Quando, molto più semplicemente, e se li si conoscesse un po’ di più, sarebbe scontato pensare che, essendo due artisti clamorosi, porteranno qualcosa di ben fatto, interessante e non banale. Tutto qua, senza bisogno di decontestualizzare parole.
Diodato è una delle migliori penne in circolazione, oltre che un interprete delicato ed elegante. Mi aspetto una gran bella canzone, e sicuramente non deluderà.
Di Elettra Lamborghini non parlo. Sapete com’è, scrivo di musica… dico solo che il titolo del brano è “Musica (e il resto scompare)”… non sarei così ottimista: quasi sicuramente scomparirà anche la musica, tranquilli.
Elodie è una di quegli artisti che, per quanto mi riguarda, non sono né carne né pesce. Nel senso: in potenza avrebbero anche le carte in regola per fare della roba quantomeno discreta, in atto fanno porcherie inascoltabili. Certo, il brano è firmato Dardust e Mahmood, che al momento sono due garanzie assolute… chissà, magari è la volta buona.
Discorso analogo per Nigiotti, che se solo si svecchiasse un po’ dal punto di vista dei testi (e dei contenuti) sarebbe un cantautore bravissimo. Spero che mi faccia ricredere. E spero ancora di più che tiri fuori la chitarra, chè la sa usare piuttosto bene, e tiri fuori un bel blues da scompigliarmi i capelli. Ma credo di starmi spingendo troppo in là. E, conoscendo il titolo della canzone (“Baciami adesso”, ndr), posso dire che no, non si è svecchiato.
Su Gabbani ho un pensiero contrastante: è orecchiabile, discreto e migliore di molto pop che circola, oltre ad avere una voce abbastanza riconoscibile. Ma sembra sempre che mi stia a coglionare, come se volesse dare solo la parvenza di essere impegnato. Poi non si impegna più e va a finire nel retorico. E’ quello che lancia il sasso e nasconde la mano. Scelga, Cristo santo. Solo allora mi avrà convinto al 100%.
Su Giordana Angi valgono le stesse parole spese per Elodie.
Irene Grandi è un ritorno gra(n)ditissimo: potenza ed una bella ventata di rock. Sì, insomma, o almeno spero…
Junior Cally non incontra esattamente il mio gusto, nonostante gli riconosca la capacità di essere diretto e schietto. Ma il contenuto dei testi mi lascia perplesso, se non indifferente, e le basi non sono nulla che non sia già stato sentito. La sua comparsa per annunciare il titolo della canzone momento più cringe della serata. Fuori “da tutti i luoghi e da tutti i laghi”.
Per Le Vibrazioni vale lo stesso identico discorso fatto con Irene Grandi, calza a pennello.
Da Levante, artista fra le mie preferite del momento, mi aspetto un brano non banale sotto il profilo del testo e musicalmente interessante, oltre che molto “ampio”, per dare libero sfogo alla sua vocalità.
Il discorso del brano ampio e della vocalità tocca anche a Marco Masini, che dagli ultimi due Festival a cui ha partecipato ha tratto un enorme beneficio. Probabile outsider.
Michele Zarrillo è un chitarrista che fa spavento, suonava prog con i Semiramìs nei primi ’70, fate voi. Ora non dico di portare prog (anche perché il rischio di fare porcherie con tutti i crismi sarebbe altissimo), ma almeno tirare fuori la chitarra e movimentare un po’ la situazione, almeno quello… si sa, la speranza è l’ultima a morire…
Paolo Jannacci lo scorso anno ha tirato fuori un bellissimo disco d’esordio, pieno di groove e di spunti interessantissimi, fresco e moderno. Ecco, mi aspetto qualcosa su quel solco. Ed ho come l’impressione che non mi deluderà. La butto lì: premio della critica.
Di Piero Pelù ho francamente paura. Paura che possa portare un pippone ambientalista da quattro soldi, alla maniera del Celentano “profeta” della peggior specie. Si badi bene, non perché non mi stia a cuore l’argomento (ci sto anche scrivendo uno spettacolo su, fate un po’ voi…), quanto perché mi danno fastidio le banalizzazioni, ecco tutto. Spero che stupisca. Possibilmente in positivo.
I Pinguini Tattici Nucleari nell’ultimo hanno avuto una crescita di pubblico enorme, e Sanremo è la ciliegina sulla torta. La fortuna è che, quntomeno, fanno un pop ben strutturato e non troppo banale nelle dinamiche. Sono abbastanza dentro l’hype, sì.
Rancore bissa la presenza dello scorso anno, e sicuramente non sarà un passaggio banale, perché siamo davanti ad una penna che, al momento, in Italia ha pochi eguali. E ad un interprete clamoroso, che fa diventare ogni pezzo uno spettacolo di arti performative. Interessante, molto interessante.
Raphael Gualazzi è uno jazzman spettacolare (come Paolo Jannacci, ndr), anche lui abituato a stupire ed a portare cose non scontate né per tutti. Un ritorno che ci voleva, mancava da troppo tempo. Unica pecca: interpretazioni un po’ troppo “fredde”, trasporta poco dentro i suoi pezzi.
Riki fa cagare, un giornalista deve saper essere onesto. E qua è impossibile cercare di infiocchettare un dato che è sotto gli occhi di tutti. Riki fa cagare, punto.
La presenza di Rita Pavone onestamente non la capisco: o ha il pezzo della vita o sta lì solo per accontentare l’ “ancienne règime” di pubblico. Probabilmente "la seconda che ho detto", posto anche che Mamma Rai doveva essere accontentata, ecco allora il nome reazionario (in tutti i sensi). Mah...
La scelta di Tosca, invece, mi fa felicissimo: è una artista straordinaria, versatile e, soprattutto, colta ed originale, un toccasana. Chi dice che è buona solo per le sigle Disney e non per Sanremo, vada ad ascoltarsi "Morabeza", il suo ultimo album: forse potrebbe capire cosa significhi "fare musica".
Chiudo con un paio di considerazioni su Amadeus. La prima è una “tirata d’orecchie”, per il comportamento, che definire disgustoso è poco, che ha avuto nei confronti della stampa. Assurdo. Assurdo ed immotivato. Assurdo, immotivato e stupido. Ed anche molto poco professionale. Così come assurda e suicida è stata la scelta di chiamare i cantanti a fare quelle comparsate da quattro soldi a “I Soliti Ignoti”, tempo massimo di apparizione: dieci secondi. Va bene, continuiamo a svilire la musica, facciamoci del male. La seconda è un “placet”, per il discorso di non aver portato nessuno da “Ora o mai più”: non sta scritto da nessuna parte, non era un atto dovuto, né si poteva accontentare il pubblico che pretendeva sedicenti artisti sul palco dell’Ariston solo perché venivano da quel programma inutile: la musica è una cosa seria, serissima, ed ai vincitori dei talent è già stato dato fin troppo spazio. Agli stessi artisti che si sono lamentati di non essere stati scelti, tale Lisa, su tutti, per la quale mi verrebbe da dire, tanto per rimanere in tema, ma chi gazzè (scritto piccolo di proposito, chi vuol intendere intenda), mi sento di dire che, evidentemente, la canzone faceva cagare. E, soprattutto, fare i piangina o i falsi sarcastici sui social non farà ripartire le vostre carriere. Punto e basta.
Articolo del
08/01/2020 -
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