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Parto da lontano, come sempre.
E parto da un manifesto, dall’iconico “Uccidiamo il chiaro di luna!” che un Filippo Tommaso Marinetti tanto insulso in versi quanto dinamitardo in prosa scrisse, ovviamente, come manifesto letterario del futurismo, chiaro segnale di rottura con la poesia, per l’appunto, da “chiaro di luna” che, in gran parte, aveva scandito i versi dei secoli precedenti.
Ecco, siccome provocare è, spesso, la mia vocazione e, in qualche misura, anche il mio piacere, faccio mia la natura quasi sacrilega di quel manifesto, parafrasandolo, a cinquine ancora calde, in un “Aboliamo le Targhe Tenco”.
Ora, questa è chiaramente (e sottolineo “chiaramente”) una provocazione nella forma, ma lo è relativamente nei fatti: se, secondo Sergio Sacchi, che del Club Tenco è direttore artistico, la canzone d’autore si è fermata a Silvestri e Capossela, mi chiedo quale sia l’attualità di continuare a parlare di canzone d’autore.
E, direttamente collegata, quale sia l’attualità di premiare qualcosa a cui sempre Sacchi attribuisce “tantissime direzioni”, ma su cui dice- cito testualmente- “ho i miei dubbi che conducano lontano”: come, sono già finiti i giorni della canzone senza aggettivi?!?
Fossi un cantautore, mi sentirei a dir poco offeso da quell’uscita lì, che è un concentrato di superficialità e distrazione, e scatenerei l’inferno per avere quantomeno un chiarimento.
Anche perché la canzone d’autore vive un ottimo momento di forma, con un sacco di proposte interessantissime. Solo che sono, spesso e volentieri, underground, e se non riescono ad emergere è anche per colpa di questo paternalismo da quattro soldi, condito con un pizzico di passatismo, che non guasta mai, ma che avrebbe anche fracassato un po’ la minchia.
Bene, direi che è il caso di centrare uno dei tanti (preparatevi!) punti all’ordine del giorno, probabilmente il più succoso ed il più infuocato.
Ma prima di farlo mi prendo un momento per palesare i miei non -voti (nel senso che io non sono fra i giurati, ma se lo fossi stato, avrei votato gli album che sto per citare, così non si dica che tiro sassi e nascondo mani), e nel confessare le mie, ribadisco, non- preferenze, dico anche che si fermeranno a quattro categorie: ho ascoltato troppe poche cose per poter parlare degli album d’interprete, idem per la categoria degli album a progetto, che- probabilmente- non voterei nemmeno perché, in tutta sincerità, non capisco il motivo della sua esistenza.
Come album dell’anno avrei votato Venti- Giorgio Canali& Rossofuoco, Anamorfosi- Alan+, Jungle Gum- Respiro. Tre modi diversi di intendere le di scrivere a canzone d’autore: il fuoco di Giorgio, le incessanti cascate di parole degli Alan+ ed il superpop trascinante (ma testualmente densissimo) dei Respiro.
Fra le opere prime le mie preferenze sarebbero andate a Toccaterra- Emma Nolde, Le gabbie dei tori- Prevosti ed Esistere- Serena Diodati. Probabilmente la categoria che più mi avrebbe messo in difficoltà- un’altra manciata di album la citerò fra poco- ma alla fine sarei andato sul taurino fatalismo del buon Mattia, sulla classe cristallina di Emma Nolde e sul perfetto incastro fra acustico ed elettronico, condito da testi splendidi, di Serena Diodati.
Per i dischi in dialetto avrei scelto Manzamà- Fratelli Mancuso, Mediterraneo Ostinato- Stefano Saletti& Banda Ikonae Fora Tempu- Lautari. Non credo affatto nell’oggettività, ma il disco dei Fratelli Mancuso è di un bello oggettivo, pari solo alla loro importanza musicale e culturale. Il lavoro di Saletti ed i suoi compagni incarna perfettamente il mio concetto di musica folk, quello dei Lautari il mio concetto di fare musica.
E, per ultimo, come miglior canzone sarei andato su L’Abisso- Francesco Bianconi, Chitarra nera- Vasco Brondi e Primavera a Lesbo- Marco Sonaglia. Tre pezzi dalle nuances quasi antipodiche, fra l’autoanalisi spietata di Bianconi, l’esistenzialismo fragilmente decadente di Brondi e la vera anima da musica d’autore, quella orgogliosamente politica e partigiana (finalmente!), di Marco.
Ora, cominciamo dal primo punto in questione, e torno alla pochezza di direzioni della canzone d’autore. Ecco, se qualche mio amico se ne fosse uscito con una sparata del genere, la mia reazione sarebbe stata, più o meno, quella di aprire la finestra, intercettare gli altrui sguardi stupiti e commentare, in tono didattico- esplicativo, rigorosamente in dialetto, “Amunì, niscì ‘a minchiata”, con conseguente risata dell’uditorio.
Ma, essendo questa una circostanza formale, sarò più didascalico, e mi limiterò a dire che no, non è vero che le varie direzioni non condurranno lontano: basterebbe saperle tracciare bene.
Chiaramente per essere in grado di riuscire a tracciarle, bisognerebbe prima creare delle condizioni favorevoli, soprattutto in sede di scelta “tecnica”.
Mi spiego meglio: siamo di fronte ad un concorso che ha una giuria composta da più di 200 giurati, fra giornalisti ed addetti di vario genere.
Fra i giurati ci sono nomi di spicco della critica musicale italiana, tipo Zoro, Andrea Delogu o quelli che a Palermo chiamerebbero, molto poeticamente, “I tri ‘ra Vaniddazza, Sgracchio, Chiummu e Sputazza”, vale a dire Dondoni, Giordano e Laffranchi. Senza contare, poi, gli inossidabili come Luzzato Fegiz, Assante, Castaldo e Salvatori, o il fantasmagorico Scanzi.
Tutta gente che sulle Targhe Tenco sortisce due effetti: il primo, condurre l’esito della gara verso un risultato sempre più ideologicamente accostabile ad un altro grande nome della giuria, parlo di Michele Serra, un esito che sta a metà fra il volersi dare un tocco di intellettualismo borghesotto e l’essere solamente reazionari, prova ne sono la vittoria di Brunori lo scorso anno e quella futura di Bersani (ed è inutile sottolineare quanto stimi sia Brunori che Bersani) da un lato, e l’ignorare ancora gente come Lucio Corsi, che, ai loro occhi di esperti letterati ed intransigenti critici, evidentemente viene percepito come troppo naif.
Il secondo, spostare la gara sui nomi e non sugli album, ma fra poco ne parleremo meglio.
Senza contare, poi, che, nell’esatto momento in cui è arrivato il liberi tutti autocandidatorio (ricordo che fino al 2016 c’era una commissione preselezionatrice, formata da una ventina di giornalisti, che si occupava di stilare delle short- list di cinquanta titoli per sezione, da cui sarebbero stati votate in un primo momento tre titoli per categoria, ed in un secondo momento i vincitori. Dal 2016, abolita la commissione, esiste una piattaforma su cui ognuno, dal musicista in prima persona al semplice fruitore, può candidare quello che crede) un maremagno di proposte più che meritevoli rimane nascosto ed apocrifo.
Discorso che conferma l’utilità della commissione preselezionatrice e della short- list di cinquanta titoli per ogni categoria di cui sopra.
Se poi proprio si volesse continuare in una cocciuta recusatio del passato, allora si dovrebbe allargare il numero di preferenze della prima scrematura: votare solo tre titoli per categoria su cento e passa album candidati- sempre per categoria- significa dare campo ad una proporzione tanto ingiusta per i vari artisti quanto rognosa per i votanti.
Altro punto abbastanza importante riguarda, strettamente, il voto: ribadisco fermamente la bontà (per non dire proprio la necessità) di un voto palese, già dal primo turno: chi non ha niente da temere, vedi Monina o Marchetti, espone tranquillamente i propri voti.
Per tanti altri, e ci metterei le mani sul fuoco sapendo di finire come Muzio Scevola, gli esiti potrebbero non essere del tutto felici.
In realtà potrebbe essere anche un buon metodo per scremare: tempo una edizione a voto palese, e la giuria si ridurrebbe quantomeno di un quinto degli elementi, per manifesta incongruenza.
Senza contare che tanta eterogeneità, mettiamola così, nella “provenienza artistica” dei giurati finisce per disperdere la peculiarità del premio: di canzone d’autore dovrebbe occuparsi chi di canzone d’autore parla, non chi si trova nei posti giusti ai momenti giusti. Ma su questo argomento dovrebbero spingere gli amici delle varie etichette, mi rivolgo a loro, e faccio un esempio casuale (ma forse non tanto, nella speranza che si capisca che io sono dalla stessa parte): il fatto che a giudicare un disco come quello di Piero Brega sia gente che quotidianamente si occupa di far fare le playlist personalizzate alla Amoroso o ad Emma e che non ha la minima idea dell’importanza che Piero ha per la musica di casa nostra, beh… dovrebbe far fare fuoco e fiamme, far ribaltare tavolini, far sbattere porte.
Chiedere, anzi, pretendere un po’ più di qualità per avere gente competente a giudicare i propri lavori, quelli per i quali investite professionalità, tempo, forze e soldi dovrebbe essere il minimo.
Ad ogni modo, dopo la tempesta (??) arriva la quiete (??), per cui chiudo parlando di musica, chè comunque è sempre il centro.
Lo faccio con un breve commento alle varie cinquine ed, anche in questo caso, con le mie intenzioni di non- voto fra i finalisti.
DISCO IN ASSOLUTO: Samuele Bersani (Cinema Samuele); Caparezza (Exuvia); Iosonouncane (Ira); Pino Marino (Tilt); Motta (Semplice).
Posto che, molto probabilmente, vincerà Bersani e che l’approdo in cinquina di Pino non può che farmi un enorme piacere, mi dispiace molto che non siano stati presi in considerazione i lavori del già citato Canali (che comunque, per fortuna, va nella direzione totalmente opposta alla già citata politica serriana messa in atto negli ultimi tempi), de La Rappresentante di Lista, di Margherita Vicario, di Agnese Valle, degli Zen Circus, degli YoYo Mundi, di Olden, di Lastanzadigreta, di Rachele Bastreghi, dei Bachi da Pietra, dell’altrettanto già citato Piero Brega, o di un altro grande della nostra canzone d’autore come Edoardo De Angelis.
Qui, nonostante mi renda conto che Caparezza meriterebbe la vittoria, la mia preferenza andrebbe a Motta: anche rispetto agli altri concorrenti di allora, probabilmente non lo avrei votato con “Vivere o morire”. Adesso sì, gran disco.
MIGLIOR ALBUM IN DIALETTO: Fratelli Mancuso (Manzamà); Lautari (Fora Tempu); Stefano Saletti & Banda Ikona (Mediterraneo Ostinato); Setak (Alestalé); Patrizio Trampetti [(‘O Sud (è fesso)]
Questa credo sia la categoria più stimolante e, parere personale, o si risolverà con una maggioranza bulgare in favore dei Fratelli Mancuso, o sarà bagarre vera. Cinquina splendida (almeno quattro di questi per me sono disconi), peccato per il Canzoniere Grecanico Salentino, Elsa Martin& Stefano Battaglia ed Elisa Carta, che non avrebbero stonato per nulla.
Personalmente, per quanto possa valere, confermerei la mia preferenza ai Fratelli Mancuso.
OPERA PRIMA: Francesco Bianconi (Forever); Chiara Blu (Indifesi); Cristiano Godano (Mi ero perso il cuore); Madame (Madame); Emma Nolde (Toccaterra)
Qua casca l’asino: la cinquina è assolutamente “dopata”, e s’è materializzato il problema del voto dato al nome. Attenzione, non che gli album di Bianconi e Godano (e lo dico a scanso di equivoci, sono due artisti sui cui lavori con le rispettive band mi sono letteralmente formato, stravedo per entrambi, e li ho entrambi recensiti con un piacere enorme) non siano meritevoli (e sfido io, c’hanno quasi trent’anni di carriera alle spalle!), ma, semplicemente, non dovevano stare fra gli esordienti. Dice: il regolamento permette a loro di candidarsi ed alla giuria di votarli? Sì, certo. Ma nel regolamento c’è un evidente vulnus: stiamo parlando di una categoria che premia gli esordi, creata proprio per dare spazio al nuovo ossigeno della canzone d’autore. In questo, un grandissimo plauso va ai giurati che decideranno di non votarli, favorendo chi esordiente lo è per davvero.
Oltre al fatto che la presenza in cinquina di Bianconi e Godano- chiaramente non sono loro il problema- dimostra un evidente deficit di curiosità di una parte della giuria, vedi i nomi sopra. Anche perché le proposte alternative non mancavano di certo: ai sovracitati Prevosti e Serena Diodati ci sarebbero da aggiungere, per dire, Marco Castello, Serena Altavilla (per la quale, e mi dispiace sinceramente, si sono avverate le previsioni che avevo fatto nel recensirle il disco, ed è un discorso che si ricollega all’importanza del voto palese, importanza di cui lei è esempio), Viadellironia. Manco a dirlo, come dicevo sopra, esistono proposte validissime, solo che bisogna cercarle.
Poi, pur avendo dalla propria questa falla nel regolamento, la dice lunga su certe capacità di lettura del circostante musicale il fatto che Vasco Brondi, probabilmente l’autore più incisivo degli ultimi dieci anni, almeno per quanto riguarda le nuove leve, non si sia piazzato in cinquina.
Ad ogni buon conto, anche in questo caso confermerei le mie scelte e, per quanto apprezzi Madame, il mio voto andrebbe ad una gemma di album come quello di Emma Nolde.
INTERPRETE DI CANZONI: Ginevra Di Marco (Quello che conta); Miriam Foresti (A soul with no footprint); Federico Poggipollini (Canzoni rubate); Ornella Vanoni (Unica); Peppe Voltarelli (Planetario)
Qua- assenze di Tosca e di un altro gran bel disco come il “Camaleonte Gitano” di Cristina Meschia a parte- quasi nulla da eccepire: mi fa molto piacere per Poggipollini e ribadisco sempre che ogni manifestazione artistica di Ornella azzera letteralmente il circostante e, per questo motivo, probabilmente si mangerà tutti gli altri. Però il mio non- voto andrebbe a Peppe Voltarelli, che incarna nel suo senso più vero e profondo l’essere interprete.
CANZONE SINGOLA: Francesca Incudine (Zinda); Iosonouncane (Novembre); Canio Loguercio (Ci stiamo preparando al meglio); Madame (Voce); Pino Marino (Calcutta)
Non mi ha mai fatto impazzire l’avere candidati “multipli”, per così dire, e sono per lo spalmare i voti. Anche perché qualche altro gran pezzo è uscito: sopra parlavo di Bianconi con “L’Abisso”, di Brondi con “Chitarra nera” e di Sonaglia con “Primavera a Lesbo”, ma potrei tranquillamente aggiungere anche “Nati per vivere/ Born to live” di ColapesceDimartino o “Beppe” di Marco Corrao o “Mercedes Benz (C’eravamo tanto amati)” delle Cordepazze o di “Svegliali tu” di Alfina Scorza e Brunella Selo.
Ad ogni modo, fra le finaliste con cui avere a che fare, il mio voto andrebbe a Pino Marino e la sua “Calcutta”, piccolo campionario di cosa è in grado di fare una canzone.
ALBUM COLLETTIVO A PROGETTO: Ad esempio a noi piace Rino; Her Dem Amade Me – Siamo sempre pronte, siamo sempre pronti; Musica Contro Le Mafie: Sound Bocs Diary; Note Di Viaggio – Vol 2: Non vi succederà niente; Ritratti d’autore: Bindi, Bassignano & Friends
Chiudo con l’ultima categoria, quella di cui, come dicevo sopra, proprio non sento la necessità, e devo dire che sono un gran peccato le assenze di “Benvenute”, progetto tutto dedicato alla musica d’autrice promosso dall’etichetta Musica di Seta e diretto artisticamente da Chiara Raggi e Michele Neri, e di “Heroes”, omaggio al Duca Bianco made by Fresu, Magoni, Ponticelli, Meyer, Diodati e Vignato. Dispiacere che aumenta sensibilmente se penso che sono arrivati in cinquina il mediocre omaggio- bis a Guccini e, peggio ancora, l’ottimo oltraggio (come oltraggio funziona benissimo, nulla da dire) a Rino Gaetano. Poi, personalmente, alla pur delicata eleganza di “Bindi, Bassignano& Friends” preferisco la militanza partigiana di “Her Dem Amade Me- Siamo sempre pronte, siamo sempre pronti”, che, oltre a fornirci pacchi di buona musica, farà sì che il centro Alan’s Rainbow di Kobane possa avere un ambulatorio pediatrico, intitolato alla memoria del compagno Lorenzo “Orso” Orsetti: per loro il mio non- voto ed un pugno chiuso ben alto.
Anche quest’anno, come al solito, il commento al premio più divisivo della musica di casa nostra è stato fatto, mi sembra che dentro ci sia la solita grazia che mi caratterizza, grossomodo quella di uno che tira al piattello con un panzerfaust, ma tant’è: “io non sono cattivo, è che mi disegnano così”.
Adesso, dal momento che, come al solito, ho fatto le ore piccole, vi saluto come l’anno scorso, augurandovi una buona notte, perché, diceva il poeta,“Noi, se si muore solo un po’, chi se ne fotte! Ma sia molto tardi, che si va a dormire.”
Articolo del
28/06/2021 -
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