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Il buon vino non invecchia (quasi mai)
06/03/2014 17.20.48
Ci sono personaggi come Bob Mould che, molto noti e contrversi in patria (USA), hanno poca o scarsa notorietà in Italia per una serie di fattori oggettivi.
Qualcuno, tra i più enciclopedici, se lo ricorderà per il suo esordio da frontman negli Hüsker Dü, gruppo seminale dell’hardcore punk statunitense. Altri, sempre ricercatori di chicche oltreconfine, lo assoceranno alla sua seconda esperienza con gli Sugar e al fortunato “Copper Blue” consacrato da NME come miglior album del 1992.
Poi una carriera da solista, tra molti bassi e alcuni alti, che ha ritrovato vigore con l’uscita nel 2012 di “Silver Age”.
A me Bob Mould è entrato nel cuore in un caldo pomeriggio friulano dell’agosto del 2013 quando l’ho trovato sul palco come gruppo spalla al concerto dei Foo Fighters. E da quel momento è stato un percorso a ritroso per recuperare quei pezzi della discografia di attività da solista che confermano la grande qualità di musicista con il raro pregio di unire grandi melodie ad uno stile rozzo e graffiante.
Festeggio cosi la notizia dell’uscita a giugno del suo prossimo album, “Beauty & Ruin” perchè ritengo che tra i personaggi “non nuovi” in circolazione, Bob Mould sia uno di quelli che riesca meglio a rappresentare, con grande energia, passato e futuro. “Beauty & Ruin” si preannuncia come un disco da appassionati centometristi, trentasei minuti di set list di “compact epic”, come lo stesso Mould ha tenuto a precisare. Un’uscita da tenere d’occhio con la speranza che qualche promoter italiano se lo accaparri per qualche data del tour che celebra i suoi 25 anni di carriera.
(f.b.)
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Mamma ho perso l’aereo
28/02/2014 20.24.25
«Babyshambles regret to announce shows in Milan and Rome are cancelled».Con queste due semplici righe si è consumata l’ennesima impresa di Pete Doherty che ha lasciato a secco i suoi fans italiani in trepida attesa del suo arrivo per i concerti di giovedì 27 e 28 febbraio.
E’ scattato cosi un panico generalizzato sui motivi e, soprattutto, si è cercato di capire perché fosse saltata la data di Milano e a stretto giro quella di Roma. Sicuramente le date verranno recuperate ma quello che fa più riflettere, e sorridere un po’ amaramente, è la giustificazione dell’annullamento del concerto. Doherty doveva arrivare da Parigi, città dove risiede da qualche tempo, ma avrebbe perso l'aereo che doveva portarlo in Italia.
Si fa presto a fare due conti, Parigi non è su un altro continente e non mancano certo i voli per raggiungere Milano, o qualsiasi altro posto a tiro, in tempo per rispettare l’impegno preso con i suoi fans comprensibilmente allibiti.
La questione, in realtà, è piuttosto semplice. Al monello Doherty ancora manca la consapevolezza di poter diventare un professionista. E’ qualcosa che, probabilmente, esula dalla sua natura selvaggia che fin dall’inizio ha rappresentato una parte del suo successo.
Il problema sta tutto nel grado di ammirazione e di sopportazione che possono garantirgli i suoi fedelissimi fans. Doherty ha sempre incuriosito moltissimo la stampa e gli esperti di gossip, ma il suo pubblico non si può certo definire “di massa”. Se si può permettere di dare buca ad un concerto, vedremo come si farà perdonare a Milano e Roma quando ci sarà l’occasione di recupera le date perse ….
(f.b.)
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Italians do it better
25/02/2014 13.01.39
C’è un pezzo di Italia che se la spassa a Los Angeles, mentre noi qua ci rigiriamo le budella con San Remo e le staffette governative. Grazie alle potenti relazioni di quel Pascal Vicedomini, che ha imperversato per anni sugli schermi Rai come una specie di transgender tra il giornalista musicale e il paparazzo stile Via Veneto, un pezzo di bel paese è andato in scena a Los Angeles in occasione della cerimonia del Los Angeles Italia Film Fashion and Art Fest.
Ed ecco che su palco si presentano a ricevere l’ambito premio (?), dalle sapienti mani di Elisabetta Canalis, gli U2 e Al Pacino. Questa l’immagine, che arriva da oltreoceano, fa ancora una volta pensare al nostro ruolo nel mondo. Se non ci fossero i Sorrentino o i Tornatore di turno, che ad ogni giubileo hanno almeno la chance di varcare le porte di Hollywood dall’ingresso principale, ce la caviamo sempre con le veline e gli improvvisati di turno. Beati loro, verrebbe da dire. Loro che sembrano vivere nella giusta dimensione di quel sogno italiano che, ahimè, è da tempo diventato un incubo in patria, ma mantiene sempre un inspiegabile fascino all’estero.
Nessuna nota di pessimismo, quanto piuttosto la consapevolezza della profonda voragine che si è ormai prodotta tra l'appeal che mantiene il nostro paese all’estero e la reale condizione in cui stiamo arrancando. Beati loro, verrebbe da dire e.. poveri noi.
(f.b.)
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Adams fotografa Adam
21/02/2014 16.43.15
Da Run to You al set di una grande casa automobilistica per promuovere un modello che, guarda caso, si chiama Adam. Il binomio è un’abile mossa di marketing, ma anche l’occasione per riparlare di uno dei protagonisti dell’onda rock canadese dei primi anni ottanta.
Per i suoi seguaci, l’attività di fotografo professionista di Bryan Adams non sarà una novità visto che è da tempo che la esercita, ma per i più nostalgici si tratta di una notizia che fa ben sperare. Finalmente una vecchia gloria che non si limita a stare a galla con qualche tour in giro a raccogliere i vecchi aficionados.
Ormai sono diversi anni che Adams si cimenta nella carriera di fotografo ad alto livello e, anche in Italia, i più attenti osservatori avranno visto i suoi servizi su Max dedicati ad Elisabetta Canalis e Laura Pausini. La mano del musicista sull’obiettivo è un esperimento che nel caso dell’ultima campagna pubblicitaria sembra confermare un notevole talento.
Ma cercando qua e la, si scopre che Bryan il canadese ha avuto l’onore di fotografare in esclusiva la Regina Elisabetta II d’Inghilterra, Amy Winehouse, Ray Charles e dozzine di altri grandi big della musica.
Un dettaglio biografico che mi era sfuggito ma che conferma la stima per quell’immagine positiva di quel rockettaro canadese che, nonostante la sua apparente leggerezza, è riuscito e riesce sempre a lasciare una bella traccia.
(f.b.)
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Attenti a Rufus
17/02/2014 14.33.48
Ci siamo. Non c’è Champions League che tenga, non ci sono talk show politici che si salveranno dallo tsunami del San Remo 2014. Ma soprattutto largo alle polemiche e alle proteste. Che la festa abbia inizio.
Ad accendere subito i riflettori sulla kermesse sanremese un paio di bombe ad orologeria. La prima ascritta al capitolo Grillo che vuole utilizzare uno dei primi giorni per fare irruzione in qualche modo sul palco dell’Ariston.
La seconda, più succosa, è la contestazione dei Papaboys contro l’ospitata del cantante americano Rufus Wainwright, accusato di essere “blasfemo” per la sua canzone “Gay Messiah. ”.
I Papaboys chiedono niente di meno le dimissioni dei vertici Rai, l’intervento dell’esercito e se possibile la scomunica da parte di Papa Francesco. In realtà Rufus Wainwright non deve spiegare niente a nessuno, forte di uno spessore artistico che va oltre qualsiasi etichettatura e figlio di quel mondo creativo americano che lo ha cullato come uno degli artisti più versatili e talentuosi che ci siano in circolazione.
"Mi piace fare sorprese alla gente – ha dichiarato - quindi non dico nulla prima di salire sul palco. Ma sono tanto eccitato per questo invito ricevuto: so che il Festival di Sanremo è lo show televisivo italiano più importante. Ha un'audience che spazia dai ragazzini alle nonne e non vedo l'ora di svegliarmi in Italia l'indomani e capire quante nonne m'inseguiranno in strada per chiedere un autografo".
Per una volta, e forse dopo tanto tempo, ci sarà da tenere d’occhio il palinsesto del Festival per acchiappare l’esibizione dell’ospite blasfemo che rovinerà il sonno ai Papaboys ma incanterà tutte le tenere nonne del nostro curioso paese. (f.b.)
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A proposito dei Fratelli Coen
11/02/2014 13.31.36
Questa non è la recensione dell’ultimo film dei Fratelli Coen, ma piuttosto una nota a margine di una serata al cinema che ha lasciato qualche strascico. “A proposito di Davis” è l’ultimo della lunga serie di capolavori di Joel e Ethan Coen. Questa consapevolezza ha riempito all’inverosimile il cinema domenicale di una sala del centro di Roma, con personaggi noti e meno noti. Sta di fatto che mi sono trovato accanto il Chicco Testa di turno che ha guardato gran parte del film giocando a solitario con il telefonino.
Ma l’annotazione principale dell’ultimo dei fratelli Coen sta in una conferma del loro amore viscerale per la musica. Si può dire molto sulla trama, sui retroscena e le allusioni presenti nel film che richiamano verosimilmente il periodo del Greenwich Village di New York (prima che Bob Dylan vi facesse la sua apparizione), eppure quello che risalta di più è l’incredibile sensibilità del duo di Minneapolis, di miscelare la pellicola e la musica in una maniera che non ha precedenti. “A proposito di Davis” è uno dei casi cinematografici in cui il film fa da colonna visiva alla colonna sonora senza correre il rischio di sfociare nel territorio documentaristico.
Nel film canta il protagonista, Oscar Isaac, ma anche Justin Timberlake, che come cantante diventato anche attore ha preso parte alla realizzazione della musica in toto. Canta anche Carey Mulligan, attrice voluta fortemente dai Coen, che hanno scoperto aver anche doti canore (già aveva fatto un assolo in Shame). E canta Stark Sands, attore e voce di Broadway. Molti di questi brani sono eseguiti integralmente.
I fratelli Coen riescono a valorizzare, cosi come già abbondantemente dimostrato in alcune pellicole precedenti, un patrimonio della musica americana concentrato soprattutto tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni sessanta. Una scelta non casuale che inquadra quel periodo fondamentale senza cui non sarebbero mai potuti esplodere i grandi miti della musica rock e folk di fine novecento. Non a caso questo è il quarto film in cui si conferma la collaborazione con il produttore musicale T Bone Burnett, il celebre musicista che ha suonato con Bob Dylan nel suo Rolling Thunder tour.
(f.b.)
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