L’orfanella Jane paga la sua schiettezza e la sua mente acuta: l’agiata e disumana signora che la ospita in casa la caccia in un severissimo collegio femminile. Divenuta adulta, assunta come governante in un oscuro maniero, accalappia lo scontroso padrone, con la sua sagacia e la sua prontezza nel salvargli la vita. Ma il doloroso passato del nobile ostacola il loro sogno d’amore…
La narrativa inglese del Sette-Ottocento ci ha abituato a tutta una serie di eponimi eroi ed eroine, i cui nomi ancora oggi si leggono sugli scaffali delle librerie. Da Robinson Crusoe a Oliver Twist, dalla Emma austeniana al Barry Lyndon kubrickiano, questi nomi ci rimbalzano nella testa, e fanno parte dell’immaginario collettivo anche di chi non ha mai letto una riga. In questa pletora di volumi, Jane Eyre occhieggia dagli scaffali, sia tra i libri, sia tra i dvd.
E’ un caposaldo del romanticismo gotico al femminile, e una creatura di Charlotte Brontë, la maggiore delle sorelle scrittrici più famose di Albione. Le versioni cinematografiche e televisive del romanzo non si contano: la BBC ne produce una a intervalli regolari di cinque-dieci anni, e sul fronte cinematografico si ricordano quella del ‘43, con il sontuoso zampino di Orson Welles, e persino una versione zeffirelliana di quindici anni fa.
Se mai qualcuno pensasse che di un’altra versione non se ne sentiva il bisogno, basterebbe riflettere proprio sulla profusione di celluloide usata: Jane Eyre ancora oggi ha qualcosa da dire. E nelle mani del regista nippoamericano Cary Fukunaga e della sapida sceneggiatrice di Tamara Drewe, Moira Buffini, lo dice molto bene… anzi, come si conviene al cinema, ce lo mostra.
Innanzitutto con una protagonista straordinaria, Mia Wasikowska (già Alice delle Meraviglie nell’infelice versione burtoniana): la sua Jane quieta e impassibile, acuta e silenziosamente operosa, a detta di molti batte le pur grandi interpreti che l’hanno preceduta, grazie ad una qualità squisitamente cinematografica. Bastano il suo portamento, il vestito dimesso, e soprattutto il modo speciale in cui viene incorniciata dalla macchina da presa, per dare una vivissima impressione del personaggio senza spendere fiumi d’inchiostro in dialoghi e pensieri come madre letteratura richiederebbe.
Anche la sceneggiatura si concentra più sul non detto, sfrondando moltissimo il romanzo, e concentrandosi sulla parte centrale, curiosamente purgata di ogni brivido gotico e pseudo-sovrannaturale (una scelta controcorrente); a dare manforte a una perfetta messinscena e a una sapientissima scelta delle locations, è la fotografia selettiva, che accende i colori caldi nell’uniforme britannico grigiore (lampi di passione sotto la cenere?) e l’intensa colonna sonora del “nostro” premio Oscar Dario Marianelli. Un saldo e struggente violino solista rappresenta acusticamente la forza interiore dell’inarrestabile eroina in fuga, che attraversa le ostili e desolate brughiere nelle prime scene del film.
Nell’assenza del fiume di parole del romanzo originale, non c’è sicuramente collaboratore più valido della musica per fotografare un personaggio: l’acutezza dei guizzi di un violino che si leva sul cupo commento orchestrale è l’ingegno di Jane che sovrasta le oscure vicende della sua vita.
VOTO: 3,5/5
Articolo del
13/10/2011 -
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