Una volta erano gli zombie. Poi i virus killer, ci ha provato la TNT con una serie brevissima (The Last Ship) prodotta tra gli gli altri da Michael Bay, star un poco convincente Eric Dane redivivo da Grey’s Anatomy. Ma quello che fa davvero paura quest’anno è l’assenza, apocalittica ascensione o inspiegabile sparizione. The Leftovers ha fatto centro e sensazione. Spiegazioni psicologiche si potrebbero sprecare, l’esposizione quotidiana ad ogni tipo di tragedia, desensibilizzazione, isolamento da social media, solitudine: ognuno che ha visto o vedrà la serie si porterà via domande e qualche considerazione sullo stato delle cose. La TV non è stata la sola, e qui si iniziare a considerare. Da una parte abbiamo le serie, mandata in onda dalla HBO, creata da Damon Lindelof e Tom Perrotta (anche scrittore del libro omonimo); dall’altra il film, star Nicolas Cage e un paio di altri attori diversamente sconosciuti. Entrambe le produzioni sono adattamenti di due libri diversi, stesso argomento, e stesso modus operandi: in un evento che ricorda la seconda venuta biblica parte della popolazione mondiale sparisce, svaniti nel nulla in un istante. Che due prodotti nella teoria identici siano usciti quasi nello stesso momento non è strano, ciò che è veramente inspiegabile è il perché: davanti ad un successo, seppur non sensazionale, della serie TV il film impallidisce al confronto. Se la prima è stata poco capita e non subito apprezzata, criticata per la lentezza e la difficoltà di comprensione, è innegabile anche all’occhio meno esperto che si tratti di un prodotto filmico di altissima qualità: ottima scrittura, personaggi a tutto tondo, The Leftovers è anomala ma accattivante, ansiogena e visivamente eccellente. Il titolo stesso tradotto alla meglio indica qualcosa che è avanzato, una vestige anacronistica, da solo basta ad essere una chicca e fonte di pathos. Il film è qualificabile appena, del pathos sopra menzionato non c’è traccia e non perché sia sparito nell’apocalisse. Molti B-movie hanno fatto meglio con molto meno: la storia non si sviluppa, i personaggi sono piatti, Nicolas Cage è al picco del pessimo e il tono religioso di fondo opprime senza realmente dare senso alla storia. Scavando nel background delle due produzioni scopriamo che il libro alla base di Left Behind precede di 6 anni quello di Tom Perrotta, ma non se l’è sentita nessuno di gridare al plagio. Molti critici si sono invece sentiti a proprio agio distruggendo il film, un autentico disastro. "Yea verily, like unto a plague of locusts, Left Behind hath begat a further scourge of devastation upon Nicolas Cage's once-proud filmography." (da Rotten Tomatoes, a consenso popolare) Biblicamente tradotto: “Si in verità, come una piaga di locuste, Left Behind ha portato una ulteriore piaga di devastazione su ciò che una volta era la pregiata filmografia di Nicolas Cage”
L'America si trova da qualche tempo in un cul de sac fatto di supereroi e serie TV importate dall’Inghilterra e/o con gente che comunque l’accento inglese lo porta da casa, occorrenza più terrificante è Gracepoint, copia carbone di Broadchurch (BBC) dalla quale hanno anche preso lo stesso attore (David Tennant) nello stesso ruolo. Pare non si riesca a produrre novità di qualità e The Leftovers quest’anno è una perla di eccezione da consigliare sulla scia di True Detective (mini-serie, pochi episodi, molto contenuto). Il nostro parere: basta brutti film, fanno più paura dei cavalieri dell’apocalisse, Cinema con la C mauiscola, parlo con te, prendi esempio dalla televisione perché non è carino lasciare tutto il peso del box office sulla Marvel.
The Leftovers è in onda su Sky.
Qualche dettaglio sulla serie. Improvvisamente il 2% della popolazione mondiale (140 milioni di persone) scompare nello stesso istante. Alcuni si rivolgono alla religione richiamando forse il “rapimento della chiesa”, la rapture dell’apocalisse, molti vengono sopraffatti dal dolore, dalla follia, mentre il mondo cerca di andare avanti senza realmente sapere cosa sia accaduto. Ci sono santoni come il “Santo Wayne”, a metà tra la frode e un benevolo Manson. Peculiare il gruppo dei “Colpevoli Sopravvissuti”: vestiti di bianco non comunicano parlando, fumano in continuazioe (per non sprecare il fiato che gli è stato concesso dopo le sparizioni); vandali o setta, tutte le loro azioni appaiono sospette, non accettati dalla comunità ed emarginati ma si fatica a capire se siano davvero da considerarsi antagonisti nella serie anche grazie alle impeccabili performance degli attori costretti al silenzio e ai giri di plot inaspettati che circondano gli eventi che coinvolgono i membri e le azioni del gruppo. La serie ha inizio 3 anni dopo l'evento, seguendo le vicende della comunità di Mapleton. Kevin Garvey (Justin Theroux) è il capo della polizia di Mapleton. Non ha fisicamente perso nessuno il giorno dell’ascesa ma ha in realtà perso l’intera famiglia: il padre ed ex sceriffo impazzito, la moglie decide di entrare nella setta dei silenziosi e fumatori “Colpevoli Sopravvissuti”, il figlio maggiore segue il santone e nuovo messia di pochi, la figlia adolescente rimasta a casa è problematica e subisce gli sbalzi d’umore del padre perseguitato da lavoro, un losco cacciatore che uccide i cani randagi del quartiere e visioni che fanno temere la stessa follia del padre. Nel cast Amy Brenneman, la moglie Laurie Garvey; Christopher Eccleston, reverendo di Mapleton e uomo di vera fede appare come personaggio minore per buona parte della serie. Liv Tyler, alla sua prima esperienza in televisione interpreta una giovane donna piena di conflitti che si associa ai “Colpevoli Sopravvissuti”. Chris Zylka, Margaret Qualley, Carrie Coon, Ann Dowd nel ruolo di Patti, leader del gruppo dei Colpevoli Sopravvissuti e ottima come in tutte le sue apparizioni (recentemente l’abbiamo vista anche in True Detective). Michael Gaston reduce da tre anni presso The Mentalist e sospetto Red John a inquietante figura a metà tra realtà e sogno folle di Garvey, è lui l’uomo che si aggira per la città sparando ai cani. The Leftovers non è una serie facile, come non lo è stata l’acclamata True Detective con tutte le dispersioni filosofiche di McConaughey difficili da seguire. In questo caso il parziale mutismo della serie non fa che allertare i sensi e noi non siamo abituati a farlo, non siamo abituati a chiederci perché tanto spesso quanto ci viene chiesto di fare. Criticata per la lentezza ha in questo “difetto” uno dei punti di forza, perché quando scorrono i titoli di coda e pare passata un’eternità il cervello si sta ancora facendo domande e gli occhi sembra stiano ancora guardando le sequenze allucinogene e quelle infinitamente vivide e crude.
Articolo del
27/10/2014 -
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