Interstellar si apre su un futuro imminente: una Terra sterile, che rantola i suoi ultimi respiri di sabbia (una cosa, insomma, che vedremo presto anche fuori delle sale cinematografiche), un agricoltore ed ex pilota vedovo con prole, una società sbrindellata, che ha deviato tutte le proprie risorse economiche alla sopravvivenza alimentare. Ultima speranza per il pianeta: emigrare in un’altra galassia. Il nostro bravo pilota si ritrova astropioniere dell’avanscoperta planetaria in un battito di ciglia (un’ora, secondo il tempo nolaniano): parte così un’avventura stellare che ha visto pochi eguali, visivamente e acusticamente parlando, e tuttavia resta terribilmente realistica. C’è un problema però: avendo litigato con la figlioletta prima di partire, il buon protagonista farà di tutto per tornare sulla Terra a rivedere la sua famiglia, anche sfruttando i pilastri fisici dell’universo, il Tempo e la Gravità.
Ovvero: Interstellar, assai più di Inception, mette a dura prova la conoscenza scientifica dello spettatore e umilia spietatamente chi non ne ha affatto, ma, come già nei precedenti film, ci si rende conto che tutto questo potrebbe non essere così importante. Alla fine di tutto c’è sempre un appassionato protagonista guidato da un ossessivo imperativo interiore, una missione, un sentimento, come già Shelby, Angier, Batman e Cobb. Il nuovo eroe, Cooper (Matthew McConaughey, in inarrestabile ascesa), vuole che le sue abilità di pilota e ingegnere salvino la Terra condannata, anziché coltivare campi, ma vuole anche e soprattutto vedere i propri figli al sicuro e realizzati.
L’impressione basilare che si ha guardando Interstellar, è quella di vedere Stanley Kubrick parcheggiare la propria auto, lasciandola con il motore acceso, e vedere poi Christopher Nolan salirvi al suo posto e ripartire. E non parliamo solo delle immediate citazioni di 2001: Odissea nello spazio, come i simpatici robot aiutanti a forma di monolite nero, o il possente uso dell’organo nella teutonica colonna sonora di Hans Zimmer (che ricorda quello straussiano di Also sprach Zarathustra). Il viaggio di Cooper, come già del Bowman kubrickiano e di un certo Ulisse del passato, pur pervaso da un legittimo sense of wonder che accompagna opere del genere, è un’odissea interiore sui veri “meccanismi biologici” che ci rendono esseri umani. Primo tra tutti il famigerato, potentissimo Amore: illuminante in tal senso la perorazione di Amelia Brand (Anne Hathaway), l’astrobiologa di bordo, innamorata di un collega probabilmente morto in un viaggio precedente, eppure ancora obnubilata mentalmente dal suo ricordo.
Tra spettacoli cosmici di proporzioni gargantuesche, riflessioni sull’Uomo tra scienza e metafisica, dialoghi e scene non sempre fluidi, e momenti di suspense (e di montaggio alternato) dilatati fino all’esasperazione, il pacchetto Nolan è il solito, prendere o lasciare. Per quelli a cui piace, dopo tanti mobili svedesi, lasciarsi andare ogni tanto all’osservazione delle voluttuose e convolute forme di un tavolino rococò…
Articolo del
14/11/2014 -
©2002 - 2024 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|