Roy Andersson
Un piccione seduto sul ramo riflette sull'esistenza.
Commedia, Drammatico - Svezia, 101'
Roy Andersson Filmproduktion AB, 4 1/2 Film, Nordisk Film- & TV-Fond
di
Erica Bruni
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Roy Andersson nel 2000 con Canzoni del secondo piano ha inaugurato la trilogia sull’essere un essere umano che è proseguita nel 2007 con You, the Living e si è conclusa con il bizzarro Un Piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza, Leone D’oro alla scorsa Mostra del cinema di Venezia.
Dopo l’incipit che si apre con tre singolari episodi d’incontro con la morte (senza nessun collegamento tra loro) il regista ci travolge nella missione infelice e impossibile di due stravaganti ambulanti di travestimenti per feste, che assomigliamo ad una sorta di Don Chisciotte e Sancho Panza dei nostri tempi. I due strambi protagonisti a loro insaputa ci accompagneranno in un caleidoscopico viaggio attraverso il destino umano.
Il film trae ispirazione da Cacciatori nella neve, dipinto del 1565 di Pieter Bruegel; Andersson, anche qui, in tutti i 39 quadri del film, come nelle sue opere precedenti, è da sempre stato attento alla composizione costruendo nuove prospettive e attingendo sempre alla stessa tavola di colori che va dal grigio al beige, che ricordano molto, per esempio, autori come Edward Hopper. Inoltre il passaggio dal formato 35 mm al digitale ha permesso al regista svedese di espandere ulteriormente la frontiera del suo sperimentalismo visivo, aprendola a diverse inedite soluzioni in cui le immagini risultano più luminose e definite. Ogni quadro, dal gusto volutamente pittorico, austero e rigoroso, alterna una vasta gamma di sentimenti che vanno dall’ironia all’orrore, svelandoci man mano la bellezza di singoli momenti, la meschinità di altri, l’ironia e la tragedia nascosti dentro di noi, la grandezza della vita, ma anche la sua assoluta fragilità.
La filosofia della fragilità e della precarietà dell’esistenza che può avvolgere tutti indistintamente, è una realtà schiacciante e i personaggi nella loro incapacità di muoversi e di affrontare la vita sono nella continua attesa di un cambiamento. Ma ogni tentavo sembra vano e la grande colpa non è altro che dell’umanità stessa la quale ripone ormai ogni speranza nel tempo, eterno unico mezzo di cambiamento e di capovolgimento del destino. In questo assurdo apocalittico, come in Aspettando Godot di Beckett, i personaggi di Andersson sono persone sospese nel tempo, incapaci di muoversi e di affrontare la vita; le cause di tutto questo sono la totale mancanza di empatia e di comunicazione, messe in scena in maniera efficace, con gelidi silenzi e lunghe pause che intercorrono tra i brevi dialoghi dei personaggi.
I temi della colpa collettiva e della vulnerabilità umana sono i punti centrali nel film e in una scena in particolare (la più incisiva di tutte) Andersson denuncia e inveisce contro la classe dirigente, mettendo in scena un terribile crimine, inserito in un contesto storico fittizio, dove i colonialisti britannici costringono gli schiavi a entrare in un cilindro di rame e dalle ultima grida delle vittime nasce una musica lenta e bellissima.
Con quest’ultimo capitolo della trilogia Andersson ci dona un’opera straziante e ironica allo stesso tempo che ci porta dentro la vera tragedia di un mondo (il nostro mondo) ormai al culmine della disperazione, dove solo la passione dell’assurdo può rischiarare di luce demoniaca questo tragico caos, di un’umanità persa e ormai da tempo alla deriva.
Articolo del
02/03/2015 -
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